Dopo lo sbarco dei 143 migranti della nave Diciotti per i 100 accolti dalla Chiesa italiana don Ivan Maffeis, sottosegretario della Cei, ribadisce: “Questa è una risposta di supplenza. Non è ‘la risposta’. La risposta di un Paese democratico matura attraverso ben altri processi. Ma anche risposte di solidarietà e di umanità come questa possono aiutare a sviluppare una cultura dell’accoglienza”.
Perché la Chiesa italiana ha scelto di accogliere i migranti della nave Diciotti?
“È stata una scelta legata alla volontà di uscire da una situazione di stallo in cui queste persone erano da diversi giorni. Davanti ad una situazione insostenibile dal punto di vista umanitario si è scelto di non andare avanti con appelli generici ma di intervenire offrendo una disponibilità all’accoglienza concreta, fattiva e immediata”.
C’è un rischio che i migranti siano usati come mezzo di ricatto per smuovere l’Europa?
“La Chiesa è intervenuta proprio per sbloccare questa situazione. Il governo pretendeva, anche giustamente, il coinvolgimento dell’Europa per una redistribuzione dei migranti e per affrontare in maniera comunitaria un fenomeno di portata enorme. D’altra parte è ovvio che per arrivare a concordare una politica comunitaria su un tema come questo non possiamo servirci di gente in fuga dalla guerra o da persecuzioni”.
Come saranno distribuiti?
“I migranti sono in attesa di essere ospitati nelle tante diocesi che hanno dato la disponibilità: Torino, Brescia, Bologna, Agrigento, Cassano all’Jonio, Rossano Calabro, per citare solo le prime. È stata una risposta spontanea, noi non abbiamo fatto alcun appello.
La Chiesa italiana ha una tradizione d’accoglienza reale: sapere che nelle diocesi ci sono già tra le 26mila e le 28mila persone accolte dovrebbe farci riflettere per capire quanto stiamo enfatizzando un fatto”.
Si può andare avanti in maniera estemporanea ed emergenziale, con il rischio che a pagare il prezzo più alto siano persone già vulnerabili?
“Credo che ci siano livelli diversi di intervento: il livello della solidarietà e dell’emergenza ci sta tutto, ma non è quello con cui possiamo affrontare fenomeni di questa portata, dove la politica e la cultura del Paese devono interrogarsi e fare la propria parte. Sono livelli che vanno uniti. Ben venga che nel momento in cui c’è una situazione che ci interpella ci sia una risposta. Ma questa è supplenza. Non è la risposta”.