E se spuntassero ancora dall’acqua? Un tempo pontili e pagode spopolavano lungo il litorale adriatico. Simboli di un’epoca e di un certo modello di turismo, spazzato via nel dopoguerra dal turismo di massa e dall’espansione urbanistica. Una suggestione legata alla antica pagoda cinese ha ripreso vigorosamente a “nuotare”, grazie alla mostra “Le Piattaforme Balneari”, allestita prima al Grand Hotel e successivamente al Museo della Città, dove resterà aperta fino al 27 gennaio (ingresso libero). Quella pagoda “sarebbe il simbolo che lega il passato e il futuro del modello balneare riminese” è convinto il curatore dell’esposizione Roberto Semprini. 57 anni, riminese, architetto e designer che ha vinto numerosi premi, Semprini è tra gli architetti protagonisti dei progetti per il nuovo Parco del Mare. La Rimini che attende il nuovo lungomare e sogna palestre e percorsi verdi con vista sulla battigia come può conciliarsi con quella dell’antica pagoda cinese? “Le rifondazioni non mi sono mai piaciute. Le fondazioni si” è il caustico commento dell’eclettico editore intellettuale Mario Guaraldi.
Semprini la pensa diversamente, persuaso che sì, “ci sarebbe ancora spazio per l’antica pagoda”. La piattaforma di legno realizzata a Rimini nel 1870, ispirata al gusto esotico del padiglione reale a Brighton, in Inghilterra, era una vera e propria isola dalla vita semestrale. Ogni anno, infatti, veniva “montata a maggio per essere poi smontata in autunno”<+testo_band>. Un’isola sul mare, al centro della quale, sotto un’elegantissima capanna a forma di chiosco (come una pagoda cinese racchiusa da un telone a righe multicolori) la borghesia del tempo trovava riposo, prima di scendere a farsi un bagno, passando dai camerini laterali, rigorosamente suddivisi fra maschi e femmine.
Alla sera la piattaforma prendeva vita con spettacoli, concerti e fuochi d’artificio.
Una proposta progettuale volta ad un recupero di quell’isola è contenuta nella mostra “Le piattaforme balneari”, una piccola ma significativa ricerca condotta sulla storia di alcune piattaforme balneari riminesi, italiane (come il “Roma” di Ostia, più noto per la sua caratteristica forma come “Il Panettone”; la Rotonda a mnare di Senigallia o la “Terrazza a mare” di Lignano) e del nord Europa: progetti di carattere storico nati tra la fine dell’800 e gli inizi del ’900, fino alle più recenti piattaforme di design. Come il Boabay, ad esempio, il nuovo Aquapark galleggiante nel mare di Rimini, inaugurato lo scorso anno tra i bagni 46 e 64 di Rimini. In precedenza, alla fine degli anni ’80 Emilio Ambaz all’interno della sua idea di arenile, firmava anche due pontili sul mare. Complemento naturale dell’orizzonte litoraneo, la pagoda avrebbe tutte le ragioni per tornare a galla. “Magari non riproporre la pagoda cinese com’era e dov’era <+testo_band>- fa notare lo storico de turismo Ferruccio Farina, che del progetto di Ambaz firmò un’introduzione – <+cors>ma un’attualizzata citazione. È stato un elemento identitario del turismo riminese per 70 anni: nelle mani di un buon progettista, rispettoso degli elementi moderni, avrebbe ancora un senso”.
Andando a ritroso, negli anni ’60 fece scalpore l’Isola delle Rose: lo stato indipendente proclamato nel ’68 su una piattaforma al largo di Rimini inventata dall’ingegnere bolognese Rosa. Stato dalla dubbia destinazione che, dopo essere diventato un caso internazionale, fu soppresso dopo un paio di mesi con l’intervento dei militari italiani.
La suggestiva vicenda dell’Isola delle Rose tornò a galla nel 2010 (e in seguito per merito dell’ottimo doculfilm diretto da Stefano Bisulli e Roberto Naccari e scritto dai due registi con Giuseppe Musilli e Vulmaro Doronzo e dell’originale fumetto edito da Cartoon Club con protagonista Martin Mystere) per merito del Club Nautico, il quale indisse un concorso di idee per riutilizzare in chiave turistica le piattaforme al largo di Rimini. “Quando da Rosa nasce cosa” (questo il titolo del concorso) si rivolgeva alle facoltà di architettura italiane e straniere: le piattaforme sono inutilizzate, e la loro dismissione avrebbe costi pesanti. Perché non ipotizzare un nuovo utilizzo? Più o meno lo stesso interrogativo che muove Semprini: perché cancellare indissolubilmente i segni di un passato e di una storia turistica? Meglio farla riemergere: la pagoda cinese come simbolo delle origini balneari della città.
Paolo Guiducci