Il Risorgimento è nato in ambito principalmente anticlericale, eppure oggi sono proprio i cattolici i maggiori sostenitori del 150° dello Stato unitario. Perché non esiste solo un Risorgimento “scomunicato”. Indubbiamente ci fu un serio conflitto tra Stato e Chiesa, ma insistervi eccessivamente – come spesso ha fatto la storiografia – conduce ad una lettura parziale che non fa cogliere a pieno la profondità e complessità dei processi che hanno portato all’Unità, e fa dimenticare quel moto risorgimentale “cattolico” che conta esponenti come Pellico, Manzoni, Rosmini e Gioberti. I cattolici hanno offerto un contributo fondamentale a “fare gli italiani”, ossia la base dell’unità politica. Senza questa identità comune l’unità politica non avrebbe retto.
Il conflitto verificatosi a livello istituzionale – non a livello di società – tra Stato e Chiesa portò al non expedit. Con l’astensione dei cattolici dalla vita politica il loro impegno e le loro energie si sono convogliate nel sociale: istituzioni educative, caritative, assistenziali. Negli anni dello Stato liberale i cattolici hanno lavorato intensamente in questo ambito, in maniera capillare e con un fortissimo radicamento sul territorio, immettendo un capitale di esperienza, idee e pensiero che nel secondo dopoguerra ha concorso in modo rilevante alla creazione di una società nuova e diversa, sostanzialmente ispirata ai grandi valori della solidarietà, della socialità e della sussidiarietà.
La Chiesa italiana dunque auspica che la commemorazione del 150° della nascita dello Stato Italiano non abbia funzione meramente evocativa o celebrativa, ma sia un richiamo per il presente e il futuro. Di fronte ad una società che vede attenuati il senso di identità e appartenenza la preoccupazione è certamente quella di far riscoprire nelle radici comuni le ragioni dello stare insieme oggi e domani per rinsaldarle. Il discorso investe due aspetti. Nell’attuale contesto italiano multietnico e multiculturale occorre un’identità nazionale ben forte. Ma contemporaneamente i fenomeni dei localismi, di per sé non negativi, debbono essere orientati verso profili di autentica solidarietà per rafforzare l’unità nazionale scongiurando il rischio di disgregazioni.
Giuseppe Dalla Torre, giurista e rettore della Lumsa