Anna ha una doppia vita: a casa canta, balla, ride e non sta mai zitta, come tutte le bambine della sua età, a scuola si blocca e non riesce ad emettere un solo suono, nonostante abbia uno sviluppo e una comprensione del linguaggio nella norma. La sua è una forma di “mutismo selettivo”, una problematica che potrebbe essere scambiata per timidezza, ansia o insicurezza, ma che in realtà ha motivazioni e percorso terapeutico specifici. Nel 2015, a Rimini, sono stati 15 i casi seguiti dall’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infatile dell’Ausl Romagna (escluso il reparto ospedaliero) guidata dal Dott. Andrea Tullini. Ne parliamo con la dottoressa Antonella Cagnoli, psicologa e psicoterapeuta riminese.
>Dottoressa, come distinguere il mutismo selettivo da una forte timidezza?
“La timidezza è una dimensione della personalità, con origini biologiche e caratteriali, da non considerare affatto come disturbo in sé. Solo quando il bambino tende ad un costante evitamento del contatto sociale è necessario porre uno sguardo più attento, soprattutto negli anni delle prime relazioni sociali (all’asilo, alle elementari). Il mutismo selettivo (MS) – così come da classificazione del DSM V Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – è un disturbo complesso e persistente, caratterizzato dall’impossibilità del bambino di parlare in alcuni contesti sociali, divenendo letteralmente «muto», nonostante lo sviluppo e la comprensione del linguaggio siano nella norma e non si manifesti durante il decorso di disturbi dello spettro autistico, schizofrenia o altre problematiche. I bambini con MS a casa o con persone “selezionate” non stanno mai zitti, mentre all’esterno, in presenza di estranei, in luoghi pubblici o in alcuni contesti sociali, non riescono a pronunciare parola; questa condizione interferisce anche con i risultati scolastici. Per una diagnosi di MS la durata di tali caratteristiche deve essere di almeno un mese, non limitato al primo mese di scuola, normale momento critico”.
Quali sono le cause?
“Siamo di fronte ad un fenomeno che non è dovuto ad una disfunzione organica nè ad una incapacità correlata allo sviluppo, ma è legato all’ansia. Le cause (come spesso accade nei disturbi psicologici) sono riconducibili a diversi fattori concatenati: caratteristiche temperamentali, familiarità, ambiente circostante e/o traumi subiti.
Il mutismo è un vero e proprio «congelamento», una difesa del bambino davanti al senso di inadeguatezza e incapacità, svalutazione personale, paura del giudizio altrui, vergogna e metavergogna (la paura di provare vergogna e di mostrare agli altri di vergognarsi), da non interpretare in alcun modo come intenzionale o vendicativa”.
Quando può manifestarsi?
“Nei bambini piccoli: i primi sintomi compaiono tra il primo e il terzo anno di vita, ma il disturbo si rende sempre più evidente nelle scuole elementari, situazione in cui ci si aspetta maggiormente l’uso del linguaggio verbale”.
Il trend è in aumento?
“Dai dati forniti dalla Ausl Romagna il disturbo di MS è stato riscontrato nello 0,3% degli utenti che afferiscono alla Neuropsichiatria Infantile della provincia di Rimini (escluso il reparto ospedaliero), trend che rimane stabile dal 2010 (12 casi su 3.265 utenti – 0,37%) al 2015 (15 casi su 4.505 – 0,33%), con una incidenza maggiore per quanto riguarda il range 6-10 anni”.
Cosa può fare la famiglia?
“Come primo consiglio ai genitori darei quello di accettare il proprio figlio nella sua interezza ed unicità e chiedere aiuto ad un esperto al fine di comprendere in modo più approfondito questa sua difficoltà. È fondamentale creare una ’squadra’ formata da famiglia, scuola ed esperto, che guardi verso lo stesso obiettivo, il benessere di quel bambino (che non è farlo parlare a tutti i costi, ma renderlo più sicuro di sé nel mondo), facendo leva ognuno sulle proprie competenze”.
E a scuola? Quali possono essere i consigli più importanti per gli insegnanti?
“Come prima cosa è necessario attivare gli strumenti di intervento riservati ad alunni con «Bisogni Educativi Speciali» per personalizzare l’insegnamento scolastico e la modalità educativa ponendosi anche qui come obiettivo il benessere di quel bambino. Regola fondamentale è un atteggiamento neutrale rispetto al non parlare, perchè è proprio questa aspettativa a bloccarlo sempre di più; il bambino è altro rispetto alla sua parola e la relazione può essere efficace ed estremamente positiva attraverso linguaggi che vanno trovati insieme. Inutile corromperlo per farlo parlare, forzarlo eccesivamente e accentuare troppo esplicitamente l’importanza di parlare. Importanti sono, invece, il rinforzo di contenuti delle comunicazioni non verbali attraverso l’uso di materiale alternativo (scrittura, disegni), l’incremento della relazione tra pari in piccoli gruppi, assegnare al bambino un vicino di banco con cui si sente a suo agio, permettere di scrivere le risposte o registrare a casa i compiti orali su chiavetta”.
L’obiettivo finale è aiutare il bambino a riconquistare l’autostima?
“Sì, su questo è indispensabile lavorare, a scuola come a casa e in psicoterapia. Solo da qui il bambino potrà trovare la forza di «farsi sentire» agli occhi del mondo, perché come dice la dottoressa E. Shipon-Blum, esperta e studiosa di MS, «un bambino con MS è un bambino che soffre in silenzio».
Alessandra Leardini