Dopo il tragico terremoto di fine agosto nel Centro Italia e le nuove scosse più recenti, anche il territorio riminese, classificato con un rischio medio, si interroga. Tre quarti degli edifici attuali costruiti senza alcun criterio antisismico
Dopo l’ultimo tragico terremoto – per l’Italia, soprattutto lungo la fascia appenninica, si tratta di fenomeni non infrequenti (nel Novecento è stato calcolato un terremoto importante ogni tre anni) – passata l’emergenza e la conta dei morti e dei danni, si torna a parlare dell’annosa questione se non sia il caso di intervenire prima, cioè prevenire, piuttosto che piangere dopo. Discorso annoso, che occupa le pagine dei giornali e dei TG per qualche settimana, per poi lasciare spazio alla solita routine, e nessuno se ne occupa più (qualcuno sa come sta andando la ricostruzione dell’Aquila?). Fino al prossimo terremoto. E’ stato calcolato che prevenire, mettendo in sicurezza i vecchi edifici, richiederebbe più tempo, certo, ma se fatto bene, questo tipo di intervento costerebbe meno delle spese necessarie per affrontare tante emergenze. Quindi conviene, da un punto di vista economico, e si salverebbero tante vite umane. Il Governo sembra ben intenzionato, vedremo se gli annunci si tradurranno in fatti.
La provincia di Rimini, dal 1983, è classificata in zona 2, il che vuol dire a “rischio medio”. Scrive il Servizio Geologico e Sismico della Regione: “Il territorio dell’Emilia-Romagna è giovane da un punto di vista geologico – l ‘Appennino ha cominciato a formarsi circa 65 milioni di anni fa e le forze geodinamiche responsabili della sua formazione sono tuttora attive come documentato dall’attività sismica. La nostra regione è interessata da una sismicità che può essere definita media, in relazione alla sismicità nazionale, con terremoti storici di magnitudo massima compresa tra 5,5 e 6 della scala Richter e intensità massima dell’VIII-IX grado della scala MCS (Mercalli). I cataloghi dei terremoti riportano che, negli ultimi 1000 anni circa, la nostra regione è stata interessata da terremoti frequenti ma mai paragonabili ai maggiori eventi di altre aree regionali quali la Sicilia orientale, la Calabria, l’Irpinia-Basilicata o il Friuli. I maggiori terremoti storici si sono verificati in Romagna”.
I Comuni di Rimini, Riccione, San Clemente, San Giovanni in Marignano, Cattolica e Misano Adriatico, sono stati classificati come sismici, per la prima volta, nel 1927, poi nel 1938 sono stati declassificati, cioè hanno smesso di essere a rischio sismico, per ritornare ad essere di nuovo riclassificati come sismici nel 1983, insieme a tanti altri comuni della stessa provincia.
Il motivo? Ha scritto Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del 26 agosto: “Vari comuni classificati a rischio (come Rimini dopo il terremoto del 1916, ndr) chiesero infatti negli anni ‘40 e nel dopoguerra di essere declassificati. E sapete con che scusa? Far crescere il turismo!”. E abbiamo visto che fine hanno fatto i poveri turisti presenti nell’albergo, non a norma, di Amatrice, venuto giù.
Prima gli affari, poi la sicurezza, dunque. Una filosofia che persiste, visto il continuo rinvio dell’applicazione, negli alberghi, delle norme antincendio (altre da quelle antisismiche), che dal 1994 attendono una data di scadenza definitiva (la prossima è stata spostata al 31 dicembre 2016). Ma non è detto sia l’ultima.
Dal 1308, nel riminese, di terremoti importanti ce ne sono stati sei, gli ultimi dei quali – perché sono stati due piuttosto ravvicinati – nel 1916. Questi sono i terremoti con epicentro nel riminese o nell’alto Adriatico, ma non sono gli unici che si sono sentiti nel corso del tempo, anche piuttosto forti, come è capitato per tutti quelli con epicentro nell’Appennino romagnolo o tosco-emiliano, di intensità compresa tra 5,5 e 9 della scala Mercalli.
Gli edifici a maggior rischio. Senza voler fare dell’allarmismo, tutti comprenderanno che tra costruire applicando norme antisimiche e non, qualche differenza c’è. Come abbiamo visto sopra, queste norme c’erano, poi sono state abolite, quindi ripristinate, in una specie di resipiscenza, all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso. Siccome il periodo compreso tra la fine della Seconda Guerra mondiale, considerando anche le distruzioni che ha causato, e gli anni Ottanta, coincide con la ricostruzione del grosso del patrimonio edilizio residenziale, va da sé che circa tre quarti degli attuali edifici residenziali della provincia di Rimini (45mila circa su un totale di 61mila, che diventano 77 mila considerando anche quelli non residenziali) sono stati tirati su senza dover rispettare nessun criterio antisismico. Per oltre 7mila di questi il censimento del 2011 parla, sempre per l’intera provincia, addirittura di uno stato tra il mediocre e il pessimo. Per mettere in sicurezza questo consistente patrimonio edilizio provinciale ci sarebbe quindi tanto da lavorare, ma anche da spendere, sia da parte del pubblico che del privato. Ci vorrebbero piani di medio-lungo termine e incentivi giusti. Esempio: le detrazioni fiscali per chi mette la propria casa in sicurezza vanno bene, ma prima vanno anticipati i costi e non tutti possono permetterselo. Poi non tutti hanno capacità contributiva da poter scontare. Ci vogliono soluzioni più flessibili, adeguate alle diverse tipologie di residenti.