Il 9 aprile 1945 Alberto Marvelli comunica alle Figlie di Maria Ausiliatrice che i lavori di riparazione della loro casa sono stati approvati dal Genio civile e che presto avranno inizio. È la notizia che si aspettava da tempo. La condizione abitativa delle suore, nonostante la fruizione dell’intero ultimo piano dell’istituto dei salesiani, è disagevole; fuori dalla loro casa, non hanno la possibilità di svolgere esaurientemente la loro azione educativa e di apostolato. La notifica riferita da Marvelli allieta la comunità salesiana, ma la ricostruzione dell’edificio avrà un percorso lungo e sotto certi aspetti anche imprevedibile; in corso d’opera, infatti, si deciderà l’innalzamento di un piano. I lavori termineranno definitivamente nella primavera inoltrata del 1947.
«Di notte bande di ladri scorrazzano liberamente scassinando e rubando a destra e a manca».
Sulla ricostruzione dell’istituto delle suore si inserisce un episodio emblematico, che rispecchia in pieno il clima di abbruttimento e di degradazione di quel periodo. Raccontiamolo partendo da un preambolo che dà l’idea di quel triste dopoguerra.
Spinti dalla necessità, non pochi riminesi imboccano strade sbagliate, addirittura fuori dalla legge. Il dilagare della delinquenza è periodicamente documentato dalla stampa. Scrive il “Giornale di Rimini” il 2 settembre 1945: «di notte bande di ladri scorrazzano liberamente scassinando e rubando a destra e a manca». Oggetto di quotidiani saccheggi e di incursioni vandaliche da parte di malintenzionati sono soprattutto le abitazioni isolate o semidistrutte della marina. Si ruba di tutto; fa gola anche il materiale edilizio. Il 29 agosto 1945, “L’Arengo” segnala con disappunto come «individui senza scrupoli» svolgano impunemente «lo sconcio commercio di materiali razziati dalle macerie».
Proprio il timore di essere private delle macerie, necessarie per procedere alla ristrutturazione dell’edificio, il 28 luglio 1945 suor Maria Chiari, direttrice delle suore salesiane, e suor Emma Carabini decidono di andare a fare la guardia durante la notte alla propria “roba”: lasciano i salesiani e vanno a dormire nella loro casa appena puntellata. Sole e indifese, in un edificio sventrato e aperto a qualsiasi imprevisto. Due giorni dopo a dare man forte alle due “spericolate” religiose si uniscono anche le altre e da quel momento l’istituto, seppure diroccato, torna ad essere la stabile dimora della comunità delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
«Torna la tradizionale processione in onore a Maria Ausiliatrice».
Lentamente, giorno dopo giorno, la vita di parrocchia riprende il suo antico ritmo. A completamento del mese mariano, che ha registrato un discreto concorso di fedeli alla funzione liturgica serale, il 27 maggio 1945 si svolge la tradizionale processione in onore a Maria Ausiliatrice.
A portare in trionfo la Vergine per le strade del quartiere sono gli uomini di Azione cattolica. La processione non è imponente come quella degli anni passati, soprattutto l’ultima del 30 maggio 1943, quando dietro alla statua dell’Ausiliatrice sfilò tutta la città in ansia per la imminente catastrofe. Non ci sono autorità ecclesiastiche autorevoli, che guidano le orazioni e i canti dei fedeli; non c’è la banda musicale; mancano gli addobbi alle finestre delle abitazioni e le splendide infiorate per le strade che rendevano così suggestivo il viaggio di preghiera. La statua della Madonna attraversa il grigiore delle macerie, i fili spinati e gli sbarramenti dei militari alleati; tocca la sofferenza di un quartiere umiliato, impoverito e privato persino della sua libertà. Ma dietro a Maria Ausiliatrice c’è di nuovo il suo popolo, che se è stato privato di tutto, non è stato privato della fede. Un popolo che vuole testimoniare il proprio attaccamento alla Madonna di don Bosco e alla comunità salesiana di piazza Tripoli. E soprattutto ci sono i due oratori, quello maschile e quello femminile, una folla di giovani che si ritrova ancora una volta nella gioia della preghiera. «È commovente – si legge sulla “Cronaca” delle suore – questa manifestazione di figliale omaggio alla Madonna quale ringraziamento per averci ricondotti quasi tutti nella nostra città benché semidistrutta, ma sempre tanto cara».
«Durante la funzione mariana un bisbiglio insolito comunica che “è finita la guerra”».
Sul mese di maggio del 1945 ci piace estrapolare dalla “Cronaca della Casa” delle Figlie di Maria Ausiliatrice un’altra annotazione, quella datata 5 maggio 1945: «Mentre si è in chiesa per la funzione mariana serale, alle 18,30 si sente un bisbiglio insolito e giunge a noi la parola “è finita la guerra”».
Nessuna esultanza e nessun comunicato ufficiale per sigillare la conclusione di una mostruosa tragedia; solo il mormorio di un passaparola tra i fedeli riuniti nella chiesa di marina. Una catastrofe che ha scosso le coscienze e – va detto – che di lì a poco riserverà all’umanità un’altro inimmaginabile flagello. Il 6 agosto 1945, infatti, gli Stati Uniti sganciano la prima “atomica” su una cittadina giapponese. Il “Corriere della sera” due giorni dopo scrive: «La bomba atomica ha polverizzato tutti gli esseri viventi a Iroscima». Si parla di 68 mila morti! Il 9 agosto tocca a Nagasaki. Qui la seconda “atomica” provoca altri 40 mila vittime. A questo punto l’imperatore Hirohito annuncia la resa senza condizioni del suo paese. L’11 agosto Gino Tibalducci, direttore del “Giornale dell’Emilia”, quotidiano indipendente della Valle padana, commenterà la fine della guerra con queste parole: «L’immane carnaio che da sei anni ha sovvertito, sbigottito e insanguinato il mondo, s’è finalmente concluso. La parola pace, cui anela tutta l’umanità, così crudamente provata in ogni ceto, in ogni latitudine, torna a fiorire con suo pieno significato universale rassicurante (…). S’apre il tempo di seppellire i morti, di cicatrizzare le mutilazioni e le ferite, di intensificare, alfine, l’opera della ricostruzione, della redenzione di tutta l’umanità».