Siamo in piena Fase 2. La fase più delicata, quella della convivenza con il virus. Il traguardo finale? Il vaccino specifico per il Covid-19. Il percorso per arrivarci, però, non sarà breve: fondamentale fino a quel momento, dunque, lo sviluppo di terapie efficaci. A che punto siamo? Ce lo spiega Andrea Cavalli (nella foto), riccionese, Professore Ordinario di Chimica Farmaceutica e Direttore di Ricerca presso l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.
Qual è la situazione generale, al momento, della lotta al virus dal punto di vista terapeutico e farmacologico?
“Innanzitutto occorre fare una premessa: per scoprire un farmaco per una nuova malattia, se si è bravi e fortunati, ci vogliono circa dieci anni e qualche miliardo di investimento. Ovviamente, quindi, per l’emergenza che ci siamo trovati a fronteggiare non è stato possibile, a livello di tempistiche, sviluppare un processo di questo tipo e si è dovuto agire in altri modi”.
Come, nello specifico?
“Per affrontare questa crisi la comunità scientifica ha adottato una strategia detta di drug repurposing, ovvero di ‘riposizionamento dei farmaci’: una strategia che consiste nell’individuare dei farmaci già presenti in commercio che per le loro caratteristiche possono essere utilizzati per il trattamento terapeutico dei pazienti affetti da Covid-19. Da questo punto di vista la comunità scientifica ha agito molto rapidamente nel fronteggiare questa crisi improvvisa. Ed è un qualcosa di straordinario, soprattutto se pensiamo che la malattia che ci siamo trovati ad affrontare col passare del tempo si è rivelata essere estremamente complessa”.
Ci spieghi.
“Non siamo di fronte a una semplice malattia di tipo virale. Ci si è resi conto che il Covid si presenta con diverse fasi, diversi stadi di diverse gravità e che, ed è qui la maggiore complicazione, ogni stadio della malattia necessita di diverse modalità di trattamento terapeutico”.
Ad oggi, dunque, come si procede a livello terapeutico per trattare la malattia nelle sue diverse fasi?
“Nella prima fase, detta ‘fase virale’, si può procedere con farmaci antivirali, anche se al momento non ne esistono che presentino una consolidata attività contro questo coronavirus. Nella seconda fase della malattia si presenta uno stadio infiammatorio importante in cui avviene la cosiddetta ‘tempesta citochinica’. In questa fase, dunque, servono altre tipologie di farmaci: immunomodulatori (i farmaci che agiscono variando l’attività del sistema immunitario) o antinfiammatori. E poi vi è un’ulteriore fase, nella quale si presenta una vasculite, ovvero un’infiammazione dei vasi sanguigni: pericolosa perché può andare a colpire diversi organi vitali del paziente (si parla di disfunzione multiorgano) e per la quale è necessaria un’ulteriore differenziazione delle terapie. Una differenziazione che necessita di una continua ricerca. Ad oggi nel mondo sono oltre un migliaio gli studi clinici che stanno provando vari tipi di trattamenti per le differenti fasi in cui si presenta il Covid-19. Questa, in linea generale, la situazione attuale. Ora non resta che aspettare che escano i risultati di queste ricerche per arrivare a delineare terapie standardizzate per le varie fasi della malattia”.
Professor Cavalli, lei svolge attività di ricerca per l’Istituto Italiano di Tecnologia a Genova, con il quale sta procedendo alla sperimentazione di un farmaco proprio in relazione al trattamento del Covid-19. Cosa può dirci in merito?
“Al momento la ricerca è in uno stadio iniziale e quindi preferiamo attendere di avere risultati consolidati. Le posso dire che abbiamo lavorato in collaborazione con alcuni ospedali, proponendo una terapia combinata che mettesse insieme un antivirale e un immunomodulatore, per concentrarci anche su quella fase della malattia nella quale, come detto, la risposta infiammatoria-immunitaria prende il sopravvento sull’infezione virale. La nostra proposta si pone inoltre l’obiettivo di intervenire in una fase molto precoce della malattia, in modo da ipotizzare anche terapie sicure per i trattamenti domiciliari e ridurre il carico sugli ospedali e sulle terapie intensive che sappiamo essere stato uno dei problemi più drammatici della prima fase dell’emergenza”.
Passiamo a un altro tipo di emergenza, quella informativa: tante le informazioni inesatte, o le vere e proprie fake news, che si sono diffuse in un momento così delicato. Dal punto di vista delle terapie per Covid-19, ci sono notizie errate sulle quali occorre fare chiarezza?
“Premetto che non frequento il mondo dei social network, e quindi non so quali informazioni possano essere circolate su quei canali. Le mie fonti di informazione sono i quotidiani e, soprattutto, la letteratura scientifica che seguo e consulto costantemente. Devo dire che, in generale e fino ad oggi, quello che viene riportato dai giornali e dalle riviste scientifiche più autorevoli è senz’altro affidabile”.
Ci sono stati casi, però, in cui abbiamo assistito a informazioni contrastanti da parte di scienziati e riportate dai giornali.
“Ma questo è così anche nella letteratura scientifica, fa parte della ricerca. Nel caso specifico del Covid-19 ci sono informazioni contrastanti non tanto perché alcuni sbaglino e altri no, quanto perché in una malattia come questa un farmaco che non è stato sviluppato specificamente per essa può dare risultati completamente diversi se usato con dosi sbagliate o in un momento sbagliato. Per non parlare della risposta individuale a un trattamento farmacologico che rappresenta un settore completamente nuovo (non solo nel caso del Covid-19) e che porterà in futuro alla cosiddetta medicina di precisione. È una situazione estremamente complessa, così come lo è la ricerca: proprio per questo dare messaggi troppo semplici, come ad esempio le informazioni su terapie miracolose, che possono essere circolate recentemente, è di per sé sbagliato”.
Può essere questo il caso delle informazioni sul trattamento dei pazienti con il plasma delle persone guarite dal coronavirus?
“Il trattamento con plasma iperimmune, di cui si parla in questo periodo, sembra funzionare, però al momento non ci sono studi clinici i cui risultati definitivi siano stati rilasciati. Da scienziato, dunque, dico di attendere i dati definitivi dello studio per dire che sia la terapia del futuro. È sbagliato, anche in questo caso, enfatizzare l’argomento a livello comunicativo parlando di cura miracolosa”.
Concludiamo parlando della nostra reazione a questa pandemia. Al di là di qualsiasi valutazione di tipo politico, come giudica, da scienziato, la gestione dell’emergenza sanitaria in Italia? Si poteva agire più velocemente, anticipando il lockdown?
“Non me la sento di sbilanciarmi, affermando se si sia fatto molto o poco, se in tempi giusti o sbagliati.
Quello che posso dire, però, è che sicuramente c’è stato un generale pensiero che si trattasse di un problema tutto cinese e che, come accaduto per la SARS e la MERS, sarebbe rimasta una questione lontana, relegata in Asia, senza ripercussioni per noi. E questo non ci ha permesso di imparare da ciò che stava succedendo in Cina ed essere preparati, fin dalle primissime fasi, all’eventualità di una pesante epidemia in casa nostra”.
E per quanto riguarda la Fase 2?
La graduale riapertura cui stiamo assistendo è adeguata rispetto al rischio sanitario?
“Credo che da questo momento in poi l’elemento fondamentale sia la responsabilità individuale di ognuno di noi. Il Governo, le Regioni, le autorità possono adottare tutte le misure che ritengono adeguate, ma non saranno efficaci se ogni singolo individuo non agirà con precisa responsabilità in questa fase di convivenza con il virus, che purtroppo non sarà breve. Per fare un esempio molto concreto, al di là di ciò che possano dire le norme, ad oggi è inaccettabile che in luoghi pubblici e chiusi non si indossi la mascherina o la si indossi in modo non corretto. Ora non dobbiamo pensare a cosa prevederà il Governo per noi, ma a come agire nel modo più responsabile possibile, per il bene nostro e degli altri. Solo così, a mio avviso, sarà possibile che tutta la comunità possa camminare verso un’evoluzione positiva di questa pandemia”.