Nel 1628 l’irlandese padre Lucas Wadding (1588-1657), professore di Teologia e censore dell’Inquisizione romana, scrive che Sigismondo dedica il Tempio di Rimini alla memoria di san Francesco, ma con immagini di miti pagani e simboli profani.
Gli risponde dalla stessa Rimini nel 1718 Giuseppe Malatesta Garuffi con la “Lettera apologetica […] in difesa del Tempio famosissimo di san Francesco”, sostenendo che il testo di Wadding contiene alcuni periodi pieni di calunnia contro il sacro edificio. Garuffi esamina dottamente le singole cappelle del Tempio: ha fatto studi teologici (è sacerdote) ed è stato direttore della Biblioteca Alessandro Gambalunga di Rimini (1678-1694).
A Garuffi risponde immediatamente un anonimo riminese con una pedante requisitoria in difesa di padre Wadding. La replica di Garuffi arriva nel 1727 con un ritardo che significa soltanto indifferenza verso argomenti ritenuti giustamente deboli.
Il discorso dei miti pagani e dei simboli profani, è una costante del dibattito culturale sul Tempio riminese, da cui sono derivate pure le tentazioni di farne un luogo pieno di misteriose velleità esoteriche. Contro le quali metteva in guardia nel 2002 Franco Bacchelli in un saggio prezioso.
Bacchelli osserva che “vi sono certo buone ragioni per diffidare” delle interpretazioni massoniche suggerite da una citazione del De re militari di Roberto Valturio. In essa si accenna alla suggestione esercitata sopra Sigismondo dalle “parti più riposte e recondite della filosofia”. Bacchelli ricorda un passo di Carlo Dionisotti: quando si trattava di fede cristiana, “Valturio era intransigente: non poteva fare a meno di registrare la pratica della divinazione, ma la deplorava e la interdiva nel presente come arte diabolica”.
Per la cappella dei Pianeti nel Tempio riminese, Bacchelli conclude che i bassorilievi dimostrano la convinzione del committente “che è nei cieli che bisogna ricercare la causa, se non di tutti, almeno dei più rilevanti accadimenti terrestri”. Questo principio è “pacificamente accettato” nelle corti poste tra Venezia, Ferrara e Rimini, prima che, sul finire del XV secolo, Giovanni Pico della Mirandola proceda “ad una radicale negazione dell’esistenza degli influssi astrali”.
Bacchelli illustra le contraddizioni del Tempio Malatestiano che rispecchiano quelle delle menti di Sigismondo e del suo ambiente, in cui convivono elementi cristiani e pagani.
Il testo di Bacchelli è fondamentale per comprendere il senso dell’Umanesimo riminese: un grande progetto culturale che si realizza sia nel Tempio sia nella scomparsa Biblioteca dei Malatesti in San Francesco.
Il dato locale di Rimini va inserito nel contesto “padano” descritto da Gian Mario Anselmi con un avviso: è necessario ridisegnare una nuova geografia, non per semplificare le cose, ma per comprendere e valorizzare “una complessità irriducibile a tradizionali formule di comodo”.
Nel convento di San Francesco a fianco del Tempio, a metà Quattrocento sorge la prima Biblioteca pubblica in Italia, modello di quella gloriosa (e sopravvissuta) di Cesena. Ideata da Carlo Malatesti (1368-1429), progettata nel 1430 da Galeotto Roberto “ad comunem usum pauperum et aliorum studentium”, nasce nel 1432.
Accoglie moltissimi volumi donati da Sigismondo e procurati dai suoi uomini di corte, fra cui c’è Roberto Valturio. Sono testi latini, greci, ebraici, caldei ed arabi, tracce del progetto umanistico di Sigismondo per diffondere una conoscenza di tutte le voci classiche.
Nel 1475 Valturio lascia la propria biblioteca a quella malatestiana in San Francesco, ad uso degli studenti e dei cittadini, con la clausola che i frati facciano edificare un locale nel sovrastante solaio, dato che quello al piano terra era “pregiudicevole a materiali sì fatti”, come scrive Angelo Battaglini (1792).
Il trasporto al piano superiore avviene nel 1490. Lo testimonia una lapide trascritta non correttamente: non c’è il verbo sum (io sono) ma l’aggettivo summa da legare alla parola cura. L’abbaglio sintetizza il disinteresse verso il tema dell’Umanesimo riminese.
Il saggio di Franco Bacchelli si trova nel volume dedicato alla Cultura letteraria nelle corti dei Malatesti, a cura di Antonio Piromalli, con scritti pure di Augusto Campana e di Aldo Francesco Massèra. È il XIV della Storia delle Signorie Malatestiane, edita da Bruno Ghigi.
L’immagine riproduce il profilo di Sigismondo Pandolfo Malatesti conservato nel Tempio, cappella della Madonna dell’Acqua.
Antonio Montanari