Confeziona abiti su misura da una vita. E a 96 anni non ha alcuna intenzione di smettere. Basta vederlo armeggiare nel laboratorio di casa con forbici, metro, le tre macchine per cucire e la stiratrice con aspirazione per averne l’elegante conferma. Amerigo Soldati è il custode di un mestiere antico che può diventare una professione del futuro. Nelle mani di Soldati è un’arte, ieri come oggi. Confeziona abiti, sistema gonne e vestiti e lo fa gratuitamente. Vestire uomini e donne, con eleganza, con civetteria, con classe e sobrietà, è il frutto di una manualità a lungo praticata e di segreti del taglio appresi un giorno dopo l’altro.
E pensare che lei, Soldati, sarto per definizione a Rimini, viene dal paese dei ciabattini: San Mauro Pascoli.
“Proprio così. Sono nato il 28 luglio 1918 a San Mauro, dove ho frequentato la scuola fino alla IV elementare, come accadeva spesso all’epoca”.
Come quella di tanti altri ragazzi, la sua vita ha subito un’accelerata con la guerra. Lei ha combattuto in Egeo e in Dalmazia, è stato catturato due volte dai tedeschi ma è riuscito a fuggire. Un’avventura.
“Nell’Egeo ci sono rimasto per un anno e mezzo. Sono riuscito a rientrare con l’ultima nave italiana disponibile. L’imbarcazione precedente, una nave ospedale, è stata affondata. Sono stato rimpatriato prima a Barletta poi a Savona, in ospedale. Una volta ristabilitomi, mi aspettava un corso da avvistatore aereo e la guerra in Croazia”.
L’8 settembre l’ha sorpreso proprio nell’ex Yugoslavia. Come è riuscito a scampare ai nemici che la circondavano da ogni parte?
“Fuggendo da un’isoletta all’altra, mi sono infilato tra le linee tedesche e quelle degli uomini di Tito. Tornato in Romagna, non potevo rientrare in casa perché occupata dai tedeschi. Ho trovato così rifugio da un vicino. Una soffiata del comandante dei carabinieri di San Mauro mi ha messo nelle mani dei tedeschi. Il carcere di Forlì era la penultima tappa prima della deportazione in Germania. Per fortuna un bombardamento a Verona ha scombinato le carte…”.
Lo stratagemma utilizzato per la fuga è degno di un film…
“Nel gettarmi dal camion in colonna ho fatto rumore e una guardia mi ha notato. Senza pensarci troppo, mi sono calato i pantaloni fingendo di dover fare un bisognino. Lui ha girato lo sguardo ed è stata la mia salvezza”.
Colta al volo, proprio come l’arte del sarto.
“A 14 anni sono andato a bottega da un sarto di Santa Giustina: li ho appreso i rudimenti della professione. Dopo alcune stagioni al fianco del notissimo sarto riminese Contimolo, mi sono messo in proprio”.
Dal primo laboratorio in piazza Tre Martiri a quello in via Mentana fino a Palazzo Fabbri, ha esercitato la professione sempre in città.
“L’elemento decisivo è sempre stato la passione. Amavo tagliare abiti su misura adatti ai clienti. Di tutte le taglie, per tutte le fogge e per tante tasche. Realizzavo in media 100 abiti l’anno, oltre a cappotti, tailleur e pellicce. Avevo sei dipendenti con i quali ho diviso le tante gioie e qualche dolore di questa professione”.
Il sarto oggi è un mestiere quasi scomparso. Lei però all’età di 96 anni resiste.
“Certo! Lavoro ancora nel laboratorio sotto casa, in via Massera. Ho appena terminato di sistemare alcuni vestiti per una vicina di casa: erano troppo larghi. E ho confezionato il vestito da sposo per il marito di mia nipote”.
Non potrà lasciare il testimone ai suoi due figli.
“Roberto e Patrizia hanno preso strade diverse: a ciascuno la sua vocazione”.
Ci sono stoffe che ha amato di più?
“Cerruti e Nervegna: ne possiedo ancora. Nulla a che vedere con le stoffe attuali”.
È in pensione dagli anni Ottanta: perché continua a cucire?
“Mi diletto a confezionare abiti. E non mi faccio pagare, ovviamente. Mi spinge la passione e mi tengo attivo”.
Nelle mani di Soldati la sartoria è un’arte i cui fili allungano elegantemente la vita.
Paolo Guiducci