Numeri alla mano, il turismo in Italia vale 13 euro ogni 100 prodotti. Quello internazionale ci porta in casa oltre 40 miliardi di euro all’anno. Che nel 2020 in stragrande parte non ci saranno.
È su questo settore che il Coronavirus picchierà più duramente nei prossimi mesi: senza voli aerei, senza viaggi organizzati, con le quarantene e i contagi diversificati, addio comitive di cinesi in giro per Venezia e Firenze; addio turisti nord europei nella nostra Rimini o sul Garda; addio turismo religioso ad Assisi e Roma. Ci abbiamo messo un po’, ma ora stiamo comprendendo qual è il nostro petrolio.
Ottusi? Oddio, non abbiamo nemmeno un ministero dedicato al turismo e gli spiccioli della promozione è frastagliata tra cento competenze. Questo per dire della nostra lungimiranza.
Eppure larghe fette della popolazione italiana e noi riminesi per primi sul turismo ci campiamo: alberghi, case in affitto, ristoranti, guide, trasporti, negozi, tour operator, bagnini, indotto agroalimentare…
E adesso? Sono saltate tutte le prenotazioni primaverili, vacillano fortemente quelle estive, e poi come si potrà tornare a fare turismo nell’era post Coronavirus? Come affrontare luoghi affollati, dalle gelaterie alle metropolitane di costa? Come fare colazione self service in un hotel o una doccia dal bagnino?
Il turismo italico si riverserà più attorno a casa nostra che alle Maldive o sul Tibet. Ma per la nostra Riviera sarà sicuramente un tempo davvero difficile. Forse è giunta l’ora che i nostri amministratori di ogni tendenza e tutta la classe politica facciano finalmente corpo, perché mentre gli industriali al nord già battono i pugni sul tavolo e i politici di turno danno loro il megafono, da noi – per ora abbiamo visto solo spostare l’estate da giugno a ottobre, nella speranza (sic) di un tempo siccitoso.
Coraggio, dunque, fuori la voce e le idee. Abbiamo affrontato la pandemia del nostro mare nell’era delle mucillagini, non permetteremo che ci metta ko un minuscolo organismo.
E poi, prendiamo la palla al balzo e mettiamo in discussione un modello che da tempo giudichiamo obsoleto, riprogettandoci, come abbiamo fatto col turismo congressuale. Abbiamo un entroterra che ha storia, cultura, arte, bellezza naturale, un patrimonio con una grande capacità di attrazione. Le scelte dell’amministrazione a Rimini in questi ultimi anni sono state in questa prospettiva.
È ora di iniziare a lavorare insieme, senza personalismi inutili e dannosi. Rimini, Riccione, Cattolica, Bellaria, tutto l’entroterra e – perché no – anche Ravenna, Cesena, Pesaro stessa, sono parte dello stesso territorio. Insieme avremo la forza di farci ascoltare, da soli contiamo come questa pioggerella in tempo di grave siccità.