Che pane mettiamo sulle nostre tavole? La domanda non appare più così scontata. Quella che una volta era nota e apprezzata come arte bianca (o arte “bianca, rossa e verde” in omaggio al made in Italy) oggi appare sempre più minacciata da pagnotte, baguette e filoni d’importazione. L’Espresso il fenomeno è in crescita: solo la Romania, ogni anno, produce 4 milioni di chili di pane a fronte di un fabbisogno nazionale che rispetto a quello italiano è molto basso. Un ritorno economico deve esserci, e qui salta fuori la figura del consumatore italiano. Gran parte di quella montagna di pane sfornato nei paesi emergenti dell’Est Europa, infatti, potremmo mangiarla noi. Ignari di tutto a causa di un sistema di etichettatura che, per legge, non esplicita la tracciabilità del prodotto e dei suoi ingredienti. Secondo dati nazionali, sarebbe di importazione estera quasi un quarto dei prodotti confezionati venduti dalla grande distribuzione: baguette e pagnotte preimpastate e surgelate, con una capacità di conservazione che arriva fino a due anni. Basta dare loro una scaldata e il gioco è fatto. Con un bel risparmio in portafoglio visto che il prodotto costa meno. Una baguette da 250 grammi può scendere anche a 45 centesimi. Poco si sa però, denunciano le associazioni dei panificatori, sugli aspetti igienico-sanitari. “Il problema esiste” conferma Marcello Para da Confartigianato Rimini, facendo però solo riferimento alla grande distribuzione. Diverso è il caso del pane prodotto la notte e sfornato al momento, anche per quanto riguarda le materie prime, dalla farina al lievito. Tant’è che per garantire la località di questi, è nato anche un gruppo di acquisto che “assicura ai produttori associati ingredienti di qualità a prezzi più agevolati”. Anche se “non è detto che siano sempre prezzi concorrenziali”.
Del resto la qualità costa, sostengono i panificatori riminesi che portano alta la bandiera dell’artigianalità. Ma quanto ne tengono conto i consumatori? Mentre i piccoli forni denunciano un calo dei consumi, o al massimo una tenuta, le vendite di pane nei supermercati e ipermercati della provincia, sono in crescita. Il Conad Leclerc delle “Befane” ha registrato nel 2011 un aumento del 5,7% della vendita assistita e del 4,9 di quella a libero servizio. Coop Adriatica ha registrato un balzo del 6,50%. Complici i prezzi concorrenziali: nei punti Coop 0,55 euro al pezzo per la baguette precotta e 2,50 euro al Kg per il classico filone da mezzo chilo. La baguette precotta scende a 0,52 euro a pezzo al Conad Leclerc, il filone sale a 3 euro al Kg. Prezzi che ad un piccolo fornaio artigiano farebbero strabuzzare gli occhi.
Torniamo alla domanda di partenza: da dove arriva il pane della GdO? “L’85% del pane venduto nei punti Coop – spiega Cristina Mengozzi di Coop Adriatica – è di produzione locale, proveniente da 8 forni della provincia e, al massimo, della regione. Il restante 15% viene distribuito da fornitori nazionali con centri di produzione importanti”. Il Conad Leclerc per il pane fresco ha 5 fornitori, i più importanti da San Marino, San Sepolcro e Altamura. Ci sono poi altre tre tipologie: il pane precotto di cui nell’Iper viene effettuata la doratora, che arriva da 4 fornitori, il più importante a Cesena; il pane crudo, impastato da un fornitore esterno (di Predappio) e congelato, che nell’Iper viene fatto lievitare e cotto; il pane prelievitato crudo, cotto nell’Iper (arriva dal Modenese). Due le baguette: cruda, da lievitare e cuocere in Iper e precotta e dorata in Iper.
Anche il Conad Diamante punta su un discreto numero di forni locali (7) e su un gruppo più limitato di rifornitori da altre parti d’Italia. “Da Modena arriva il pane crudo che io cuocio” spiega il responsabile del reparto panetteria del supermercato cattolichino, aggiungendo alla lista altri rifornitori da Firenze e Genova.
Il problema a questo punto è: chi rifornisce questi grandi centri nazionali? Il pane degli “strani” percorsi può averli. In Italia, alla faccia delle direttive europee, chi vende pane confezionato proveniente dall’estero, non è ancora obbligato a scrivere sull’etichetta la reale provenienza del prodotto. Non solo: “Mentre per tutti gli altri generi alimentari viene esplicitato se si tratta di prodotto fresco o surgelato – fa presente Davide Cupioli dell’omonimo forno riminese – per il pane questa distinzione non è ancora stata introdotta. C’è una legge allo studio che ne prevede l’obbligo, ma è ferma da anni”.
Alessandra Leardini