di ALBERTO ROSSINI
La terribile alluvione che ha causato 15 morti e danni per milioni di euro è il risultato del cambiamento climatico. Un evento che potrebbe anche ricapitare. Ecco perché è fondamentale che il territorio si attrezzi per evitare catastrofi
L’alluvione in Emilia-Romagna è un fatto senza precedenti. Ha provocato 15 morti e danni ingenti al territorio, coinvolgendo terreni, case, imprese, strade e infrastrutture. Ha minato la stessa reputazione della Regione, vista nora da molti, come la terra del “buongoverno”. Tutto questo ha inciso anche politicamente, tant’è che la nomina del presidente della Regione, Stefano Bonaccini, a commissario per la ricostruzione non è più scontata, anzi.
Non è però corretto addossare la responsabilità di quanto avvenuto alla cattiva amministrazione o all’incuria da parte degli enti preposti.
Quello che si è vericato nel mese di maggio è un evento del tutto eccezionale. Lo dicono i dati e anche la memoria di chi vive nei luoghi dell’alluvione. In cinquant’anni non si era mai visto il Marecchia tornare nel suo antico alveo e riattraversare il ponte di Tiberio, dopo aver percorso il parco Marecchia.
Ai primi di maggio, in tre giorni, sono caduti, a Casola Valsenio e a Trebbio, le due stazioni meteo della Romagna, 242 mm di pioggia, poi a metà maggio si è arrivati a 254 mm di precipitazione. Raggiungendo in 18 giorni livelli cumulativi, pari a 536 mm e 609 mm, ovvero l’equivalente del 58% delle precipitazioni annue, secondo i dati uciali dell’Agenzia per l’ambiente della Regione.
Siamo quindi di fronte ad eventi estremi che sicuramente hanno a che fare con il cambiamento climatico . Eventi gravissimi che tuttavia potranno ricapitare, come aermano sia i meteorologi sia i climatologi, quindi il sistema territoriale si deve attrezzare per evitare nuove catastro. È del tutto evidente che farlo non è semplice e non è neppure a costo zero.
Val la pena ricordare che siamo in un territorio fragile che dal secondo dopoguerra in poi è stato densamente urbanizzato e trasformato, attraverso la realizzazione di boniche, la regi mazione delle acque, la realizzazione di infrastrutture, dalle strade, alle dighe, agli invasi articiali. In questo quadro non dobbiamo dimenticare che sulla costa siamo in presenza di un’area sottoposta a fenomeni marini, che a volte impediscono all’acqua dei umi di deuire nor malmente, come è avvenuto a metà maggio, per i forti venti da nord est.
Soprattutto, però, la costa è soggetta a rilevanti fenomeni di erosione, con il mare che riconquista terreno, al contrario di quello che è avvenuto negli anni passati.
Una pianicazione che voglia tener conto di tutto, compreso il cambiamento climatico, deve prevedere un consumo di suolo tenden- te a zero, nuova edicazione con criteri pre cauzionali molto alti e una rigenerazione del costruito altrettanto forte e rilevante.
In questa direzione, almeno sul piano teorico, è orientata la nuova legge urbanistica dell’Emilia- Romagna, approvata nel 2017, denominata “Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio”.
Legge che sin dall’inizio, nonostante le buone intenzioni, ha trovato alcuni critici soprattutto tra gli ambientalisti che avrebbero voluto un più deciso stop a nuove costruzioni e a certe infrastrutture, come il passante nord a Bologna o la nuova autostrada a Sassuolo.
La questione generale è sempre la stessa, ovvero come coniugare sviluppo e crescita economica e sociale con la tutela del territorio.
Uno sforzo in tale direzione è stato fatto con il “Patto per il clima ed il lavoro”, sottoscritto nel 2021 da Regione, enti locali, sindacati, imprese, scuole, atenei, associazioni ambientaliste, terzo settore, volontariato, professioni, camere di commercio e banche. Un progetto condiviso per il rilancio e lo sviluppo dell’Emilia-Romagna fondati sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
L’obiettivo da raggiungere è la completa decarbonizzazione entro il 2050 e il 100% di energie rinnovabili al 2035, il 3% del Pil regionale in ricerca e Neet (giovani che non studiano e lavorano) sotto il 10%. Proprio in questi giorni, però, Legambiente ha deciso di revocare la propria adesione, lamentando l’inattività della Regione sui temi del cambiamento climatico. La Provincia di Rimini ha declinato in versione locale le strategie del Patto, sottoscrivendo con tutti i Comuni della provincia, la Regione e con tutte le Associazioni di categoria un docu – mento che individua obiettivi strategici da qui al 2050.
tuto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), l’Emilia-Romagna risulta la quarta regione, dietro a Lombardia (12.12%), Veneto (11.90%) e Campania (10.49%). Il suo valore supera, infatti, la media nazionale (7.13%) ed è pari all’8.9%.
Tra le province emiliano-romagnole il consumo di suolo maggiore è quello rilevato nelle pro – vince di Rimini (12.4%), Reggio Emilia (11.1%) e Modena (11%). Il primato per il suolo coperto in aree ad elevata pericolosità idraulica spetta alle province di Rimini e Forlì-Cesena (24.9% e 12.7%).
In sintesi, possiamo dire che il consumo di suolo è spesso sinonimo di esondazioni e frane.
La provincia di Rimini è al primo posto in regione con il 24.9% di suolo cementicato in aree ad elevata pericolosità idraulica, seguita da Forlì-Cesena e Ravenna. Inoltre, la Riviera è alla pari con le altre province a livello di rischio frane, mentre Reggio Emilia con il 16.45% si aggiudica il primo posto. I pericoli, però, non sono niti, a livello di alluvioni il Comune capoluogo rientra in questo ambito. Nel dettaglio, i comuni di Rimini, Bellaria-Igea Marina e Riccione sono nella classe più alta di pericolosità.
Al contrario, i comuni dell’Alta Valmarecchia e alta Valconca ricadono in classi di pericolosità minore o assente, però i comuni delle due zone menzionate sono esposti ad alto rischio di frane. Come a Sant’Agata Feltria dove ci sono 13.22 km quadrati esposti a rilevante rischio di frane.
La provincia di Rimini risulta soggetta ad una sismicità media con terremoti storici di magni – tudo massima compresa tra 5.5 e 6 della scala Richter. L’elevata antropizzazione, però, fa sì che tutto il territorio sia sottoposto ad un elevato rischio sismico.
Si calcola che quasi l’80% della popolazione sia esposta complessivamente ad alto rischio.
Consumo di suolo comune per comune
Vediamo qual è la situazione a livello di consumo di suolo comune per comune. Rimini ha consumato 3.763 ettari di terreno pari al 27.1% del totale. Riccione 896 ettari, pari ad oltre il 51% del totale. Cattolica, che ha caratteristi – che particolari, ha consumato 380 ettari pari al 61% del totale. Misano Adriatico segue con 538 ettari che corrispondono al 24.1%. Inne, c’è Coriano con 543 ettari pari all’11.6% del totale del suolo e Morciano con 148 ettari che equivalgono al 27.3% del totale della supercie comunale.
Questi dati emergono da una ricerca di Ires CGIL. Proprio alcuni giorni prima del disastro, il Corriere di Rimini, presentando la ricerca, intitolava “Così cresce il rischio delle esondazioni”.
Dall’insieme di tutte queste informazioni appare evidente che siamo in un territorio fragile a partire dalla costa che presenta un rischio terremoti associato al fenomeno dell’erosione marina, proprio lì dove sono insistono migliaia di appartamenti ed attività economiche, in primo luogo alberghi. D’altro lato il territorio di collina e di montagna della Valmarecchia e della Valconca è esposto ad un alto rischio di frane e di erosione. Non sempre, tuttavia, c’è adeguata consapevolezza di questa situazione né tra gli amministratori né tra i cittadini.
Rimini ha fatto molto per prevenire i rischi idraulici, con il lavoro, ormai secolare, del de- viatore sul Marecchia e più recentemente con la separazione del sistema fognario, la siste – mazione della fossa Patara e la grande vasca di contenimento a piazzale Kennedy.
Molto, però, sul territorio rimane da fare.
Talvolta i lavori da eseguire sono di manuten zione ordinaria e straordinaria che sembrano non dare nell’immediato grande lustro e quindi non vengono arontati con tutta l’urgenza e la determinazione che richiederebbero.
Solo in provincia di Rimini si contano migliaia di frane attive, per rimediare ad una situazione simile ci vorrebbe una task force operativa solo su questo, ma le Province sono state svuotate dall’ultima riforma Delrio e quindi non hanno sucienti risorse, né il personale adeguato, per numeri e competenze, per intervenire.
Anche se ora si sta discutendo in Parlamento di una contro riforma che in sostanza ripristini quanto abolito nel 2014. Anche i piccoli Comuni dell’entroterra non possono fare fronte alle situazioni di rischio che dovrebbero prevenire, non hanno le risorse economiche e neppure quelle umane.
La nuova programmazione urbanistica dovrebbe dare impulso alla riqualicazione e rigenerazione del territorio, secondo gli obiettivi della legge regionale, ma ben pochi sono i Comuni che in provincia di Rimini, è così anche a livello regionale, hanno iniziato ad elaborare i nuovi Piani Urbanistici Generali. A volte manca la volontà politica, altre volte non c’è la struttura operativa adeguata, comprese le risorse necessarie per le indagini tecniche e le relative consulenze.
Così si continua, per inerzia, con metodi e strumenti inadeguati, no alla prossima emergenza.