Riggan Thompson (Michael Keaton) ha conosciuto fama cinematografica nel supereroe Birdman. Ma non riesce a liberarsi da quell’ingombrante personaggio, neppure nel teatro di Broadway nel quale si sta affannando a mettere in scena uno spettacolo tratto da Raymond Carver. Birdman è sempre nella sua testa, lo ossessiona, lo stuzzica e lo provoca. E poi ci sono un bel po’ di grane da gestire tra le quali l’egocentrico partner teatrale (Edward Norton) ed il rapporto con la figlia ex tossica (Emma Stone).
Il ritorno di Alejandro G. Iñárritu, il regista di 21 Grammi, Babel e Biutiful, è nel segno di un film intrigante e complesso, modellato in piano sequenza per mostrare un irrefrenabile percorso esistenziale senza pace (rafforzato dal ritmo pulsante della batteria di Antonio Sanchez in colonna sonora). Thompson vuole “restaurare” la sua identità, ripulirsi dal suo ingombrante alter-ego, dimostrare al mondo che è in grado di fare altro. Ma lo “star system” non perdona, il pubblico lo segue a teatro perché “è Birdman” e il suo affannoso percorso per ritrovare l’umanità perduta risulta invero faticoso.
Forte di 9 nomination agli Oscar (tra i quali miglior film, regia ed attore protagonista) risulta opera stimolante, consigliata ad un pubblico adulto per la caratura psicoanalitica e la narrazione che non ha niente a che fare con il fantastico “puro” (non è un film di supereroi) ma si erge come riflessione su un uomo, la sua “maschera” ed il “volto” con il pubblico che lo segue più per il personaggio che per le capacità recitative.
Frecciate ad Hollywood, al mondo dello spettacolo e pure ai social network, con un gioco di attori che coinvolge anche Naomi Watts, Amy Ryan, Andrea Riseborough e Zach Galifianakis.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani