Giacomo Senatore e Simone Mussoni, 22 anni l’uno, 23 l’altro. La passione per la musica in comune e l’Università da finire.
Uno studia Antropologia, l’altro Scienze Sociali. Insieme hanno pensato di realizzare una tesi di laurea “sul campo” ma mai “sul campo” fu più “sul campo” di così!
Semplice l’idea di fondo: partiamo e suoniamo. Suoniamo e ci manteniamo con i soldi guadagnati con la nostra musica. 10 euro, un biglietto del treno in tasca e l’idea di “studiare” il fenomeno sociale del vivere per strada, conoscere altri artisti e altre persone che vivono senza dimora: chi per scelta e chi per necessità.
Un mese e mezzo tra l’Italia e la Spagna, a decine le tappe toccate. “Tutte località di mare – raccontano – perché in questo modo sarebbe stato semplice trovare un posto dove dormire: la spiaggia”. Dopo una chiacchierata di un’ora mi accorgo che la cosa che più ha stranito questi due ragazzi è stato capire che: nulla è come sembra.
“Per strada abbiamo incontrato molte persone, – racconta Giacomo – persone che non hanno più nulla e che cercano di trovare nella musica un modo per riscattare la loro vita. Per loro esibirsi è lavorare e non chiedere l’elemosina”. Questo ha turbato Giacomo che a inizio luglio è partito con l’idea di indagare i meccanismi del potere e della burocrazia. Lui si cruccia del fatto che “le leggi, la burocrazia, regole assurde, impediscono queste forme di espressione che oltre ad essere arte sono una forma di riscatto per molti senza dimora”.
Il viaggio si compie in un mese e mezzo, dicevamo. I due hanno dormito sulle panchine, nei parchi pubblici, in spiaggia, in una caletta spagnola dove li ha colti l’alta marea e in stazione. Da molte strade sono stati cacciati, soprattutto in Spagna: “questo ci ha spiazzato molto – raccontano – pensavamo che l’Italia fosse indietro rispetto alla Spagna. Invece a Barcellona non siamo riusciti ad esibirci e nemmeno a dormire, a dir la verità. La città delle Ramblas che pullulano di artisti… e invece ci siamo imbattuti in un sistema burocratico assurdo, con permessi che dovevano essere richiesti mesi prima”.
Pochi i viaggi in autostop per via dell’attrezzatura che i due si sono portati dietro, un grande “trolley” per l’amplificazione e poi gli strumenti.
“Siamo andati a piedi e in treno quando riuscivamo a comprare il biglietto”. Quali i guadagni? I due ci raccontano che il primo giorno sono riusciti a racimolare 25 euro, il minimo, visto che nei giorni successivi sono riusciti a guadagnare anche 70 euro. “Quelli erano i soldi per la nostra sussistenza: il cibo e i viaggi. A pensarci adesso sono pochi ma siamo sempre riusciti a fare tutto con il nostro lavoro. Devo dire che è una sensazione bellissima: avere in mano un panino e rendersi conto che lo hai perché te lo sei guadagnato con la tua musica. Una bella sensazione, sì!”.
E adesso veniamo agli incontri fatti per strada. Se devo pensare ad un’esperienza di questo tipo la prima cosa che mi viene in mente è: paura. Paura di non farcela, paura di chi puoi incontrare per strada, paura di un mondo estraneo, paura delle persone che non conosci. E invece? I due parlano tutt’altra lingua. “La prima cosa da fare è socializzare e magari condividere quello che si ha. Basta passare un mezzo panino e si è tutti amici. Di senza dimora ne abbiamo incontrati molti, molti con problemi di alcol, molti che hanno perso il lavoro ma – sorride, Simone – alla fine si augura la buona notte al vicino di panchina e si è tutti sulla stessa barca”.
Il punto di vista sociale è quello che ha interessato Simone, lui che per un anno ha lavorato a stretto contatto con i senza dimora per “Piazza Grande” a Bologna, ha raggiunto la conclusione che: ogni persona reagisce a suo modo davanti a quello che percepisce come una diversità. Ci sono le persone gentili, i bar e i ristoranati che hanno sostenuto i due, allungando loro un pasto oppure una doccia o un pacchetto di sigarette. “Il ricordo più carino che ho è legato ad una signora anziana che, a Pisa, ci ha detto: «Spero che riusciate a trovare un lavoro vero». E io che un lavoro vero l’ho avuto e mi sono licenziato…insomma mi ha strappato un tenero sorriso”.
E alla fine della chiacchierata arriva la domanda d’obbligo: ma cosa hanno detto i vostri genitori?
Giacomo racconta che la mamma era un po’ turbata dall’idea delle difficoltà che suo figlio avrebbe dovuto affrontare, ma alla fine “quando sono tornato è stata contenta della mia esperienza. Prima di partire soffrivo d’insonnia, avevo l’ansia dell’Università, invece sulle panchine ho dormito come non mi capitava da tempo. Anzi quando sono tornato a casa ho fatto fatica a riabituarmi al letto”. Simone, invece, ha ricevuto un grande supporto dal padre, insegnante di religione di un istituto superiore di Rimini che “vuole che io faccia quello che mi sento. E mi è stato di grande aiuto in questo viaggio”.
Una bella esperienza a lieto fine che però ha avuto i suoi contrattempi: “a metà percorso circa, ci hanno rubato la macchina fotografica con tutte le foto e le registrazioni delle esibizioni che avevamo fatto. Un vero peccato perché dentro quella macchinetta c’erano dei materiali molto importanti per la nostra tesi, oltre che dei ricordi. Peccato”. Unico neo di questa grande esperienza che non rimarrà forse unica. I due infatti, pensano di prendere un camper e partire per un anno: “un giretto in Europa sarebbe bello!”.
Abbiamo finito. Con un po’ di timore, Simone sussurra: “Scusami, ma io non la capisco questa cosa dell’intervista. Mica mi pare di aver fatto nulla di speciale. Tutti possono fare quello che vogliono realmente. Non siamo speciali”. Simone 1, resto del mondo 0.
Angela De Rubeis