Sono 66mila i ragazzi italiani che a settembre 2020 hanno tentato il famigerato test universitario di medicina. Un numero elevato, che ci fa capire quanto sia ambita la professione di medico. Sei anni di studi: solamente chi è provvisto della giusta determinazione, passione ed entusiasmo arriva alla fine del al percorso.
E poi? Si entra in specializzazione, dove si hanno le prime esperienze a contatto col paziente.
La figura del medico deve allenarsi anche all’empatia: di fronte a lui, infatti, per tutta la vita si troveranno uomini e donne che affrontano una malattia e che oltre alle cure, ricercano sostegno e comprensione. La pandemia ha mostrato al mondo quanto sia importante la responsabilità che medici e operatori sanitari hanno ogni giorno, quanto sia una professione impegnativa e soprattutto quanto sia grande il carico emotivo. Forse abbiamo acquisito una consapevolezza maggiore della malattia e della solitudine; infermieri e medici stanno affrontando situazioni che difficilmente dimenticheranno. Soprattutto quei medici, anche neolaureati o giovani all’inizio della carriera, che si sono trovati subito in prima linea, quasi come fosse una chiamata alle armi.
Ma chi, invece, è ancora all’inizio di questo difficile ma stimolante percorso? Chi è ancora “solamente” uno studente di medicina, di fronte a un’emergenza sanitaria come quella del Covid-19, quali riflessioni è portato a fare? Quanta consapevolezza in più rispetto all’importanza del ruolo che, in futuro, si andrà a ricoprire? Il Covid ha cambiato qualcosa nelle loro motivazioni? Costanza, studentessa riminese al terzo anno di medicina, ammette: “Non sono scoraggiata, sicuramente spaventata, ma lo ero anche prima.
La pandemia fa riflettere sull’importanza e sulla responsabilità del lavoro del medico.
Sono ancora più determinata: mi sono sentita inutile in questa situazione, mi ha dato fastidio non poter fare nulla”. Altre studentesse riminesi di medicina condividono il suo pensiero. “Certo, la responsabilità che ha il medico mi terrorizza! – racconta Elena, al quarto anno – È la cosa che mi spaventa di più, riesco a percepirla grazie ai nostri professori, che ci ricordano come dai nostri sbagli o da uno studio medico poco approfondito possano nascere errori diagnostici. Ho capito che, possibilmente, preferirei lavorare in equipe: non si è da soli, si collabora per gestire al meglio le situazioni complicate ed emotivamente impegnative”.
Federica, al secondo anno, prosegue gli studi con ancor più coraggio e determinazione, riconoscendo il grande compito che dovrà assumere: “No, ora come ora non sono spaventata dalla responsabilità, ovviamente far sempre la cosa giusta è difficile, ma è così in ogni ambito, giusto? Anzi, questo mi stimola soprattutto a pensare a un medico che non curi solo il male fisico, ma che sia anche amico, consigliere e parente nella solitudine dei pazienti”.
Sì, la pandemia lascerà senza dubbio qualcosa nei futuri medici. Vedere le immagini degli infermieri in prima linea, pensare alla situazione nelle terapie intensive, o anche parlare con qualcuno che ha vissuto questa malattia, consente di sviluppare una coscienza diversa.
Federica sa che quando diventerà medico non potrà scordarsi dei sentimenti provati in questo periodo. “La cosa che più mi sconvolge di questa malattia – spiega – è il fatto che sei costretto a viverla da solo. Mi riferisco sia ai casi meno gravi, quindi a chi trascorre il tempo della malattia a casa in solitudine, sia a quelli più gravi, dove da un momento all’altro, senza salutare nessuna delle persone a te più care, ti ritrovi in un letto, magari intubato, dove la possibilità di comunicare è nulla.
In questo periodo, ho capito come l’ospedale debba diventare non solo un luogo di cura, ma anche una famiglia”. Che cos’altro lascerà l’esperienza della pandemia?
“Mi lascerà la consapevolezza che le cose possono essere sempre stravolte e sconvolte, – afferma Costanza – sta a noi a metterci in gioco ed essere sempre pronti a gestire le situazioni. Spesso abbiamo l’idea che tutto sia già progettato e ineluttabile, invece non è così, molto dipende da noi e da come siamo disposti a vivere quello che ci capita”.
Certi ricordi o emozioni riaffioreranno più avanti, ancora è difficile rielaborare quanto vissuto. Questo pensa Elena: “Da un punto di vista emotivo, molto rimarrà con me. Alcuni fatti mi hanno segnata, sicuramente per i primi anni di esperienza me li porterò dietro.
Non ti so dire bene cosa, probabilmente le conseguenze si faranno vedere nel tempo”.
Ammirazione e timore regnano nel cuore delle studentesse intervistate, voglia di finire gli studi e di mettersi in gioco per aiutare il più possibile con le proprie competenze. La pandemia è stata un tassello importante, un forte momento per capire la vera essenza di questa professione. “Da quello che faremo noi – conclude Elena – dipenderà la vita delle persone. Vorrei ricordarmi il grande esempio che la professione ha dato nei mesi più difficili della pandemia”.
Anna Gianfrini