Stefano non parla, non deglutisce, non cammina. “È sereno” assicura Bianca Rosa, sotto gli occhi di Enrico. Stefano fa Vandi di cognome, Bianca Rosa è la mamma, Enrico il babbo, per tutti Giorgio. Abitano al terzo piano di una palazzina in zona Colonnella: qui da 24 anni vivono una straordinaria storia d’amore. A causa di una rarissima malattia genetica (è l’unico caso conosciuto in Italia), Stefano vive senza parole, senza deambulare, fermo nel suo letto. Per i medici si tratta di uno stato pressoché vegetativo. L’appartamento è luminoso, proprio come il volto di mamma Bianca Rosa quando può parlare del figlio mentre lo prende in braccio per coccolarlo un po’. E lui reagisce agli stimoli con un sorriso. “Questa casa è un po’ la mia piccola chiesa” ha detto al vescovo Lambiasi che le ha fatto visita pochi giorni fa.
Il terzo fiocco azzurro in casa Vandi viene appeso il 21 maggio 1985. I fratellini Marco e Massimo lo festeggiano con allegria, i genitori sono raggianti come chiunque dà alla luce una vita nuova. Nessuno tra i medici dell’ospedale “Infermi” di Rimini si era accorto della gravità del caso. La prima a percepire qualcosa di anomalo è la mamma. “Era assente, Stefano, incapace di fissare lo sguardo su un particolare. – racconta Bianca Rosa, 59 anni, occhi chiari che ti scavano addosso – Pensavo fosse soltanto un confronto impietoso con i figli precedenti”. I primi segnali arrivano dal peso: Stefano non riesce ad alimentarsi e qualsiasi cosa ingerisca diminuisce di peso. Dopo 40 giorni trascorsi nel reparto di neonatologia, Stefano finalmente arriva a casa. L’unico sostegno è un latte con particelle pre-digerite, “lo stesso che assume anche oggi, l’unico alimento con il quale sopravvive oltre all’amore” ribadisce mamma Bianca Rosa.
Convulsioni, vomito: la situazione di Stefano si aggrava. Per i Vandi inizia il calvario in ospedale. Dopo l’ospedalino di Rimini, è la volta di Modena e del primo elettroencefalogramma. Il professor Giovanni Battista Cavazzuti si prende cura del bambino. “I medici ci hanno sempre incoraggiati, – ammette Giorgio, il babbo, 62 anni, in pensione da 15 giorni – a guardare in faccia la realtà”. Che non c’è una vita più degna di essere vissuta ma solo una persona, unica e irripetibile. Il primo responso dei medici è una mazzata: le possibilità di vita sono poche, flebili. Per Stefano sono 10 giorni sospesi tra la vita e la morte. “Non accettavo la sua condizione – ammette Bianca Rosa – speravo in un miglioramento”. I medici non lasciano spazio alla speranza, così la mamma decide di fare un’ultima fotografia di Stefano, ma senza sondino nasogastrico. Per la scienza medica la malattia di Stefano è incompatibile con la vita. Ma il bambino riminese, alimentato dalla madre grazie a una siringa come un piccolo passerotto, riprende a nutrirsi.
I Vandi passano da un ospedale all’altro. A Milano non si capacitano di quel che avviene. Stefano non parla, non cammina, all’apparenza non reagisce. “Sulla via del ritorno a Modena temevo che Giorgio potesse avere un incidente. – aggiunge Bianca Rosa guardando negli occhi il marito – Un viaggio senza proferire parole. Il prof. Cavazzuti a sua volta fu avaro di parole ma granitico: non vi abbandono, senza accanirsi faremo tutte le cose che sono necessarie per Stefano”.
Il medico è stato di parola, e con lui l’équipe modenese. Ma i giorni passano e Stefano non dà segni di miglioramento. Non quelli che magari una mamma e un babbo possono aspettarsi. “In casa c’era tensione, si parlava poco, e i periodi di degenza in ospedale non favorivano il dialogo” ricorda Bianca Rosa. Giorgio è impiegato in Comune, settore tecnico, a casa si prodiga come può, ci sono altri due figli da crescere a accudire. “Marco e Massimo: sono stati loro due ad insegnarci come amare Stefano. Non si sono mai chiesti perché e non si sono mai posti il problema che il fratello fosse diverso da loro”. Semplicemente, hanno voluto bene al fratello. Le foto dei tre bambini sorridenti sparse per casa Vandi lo testimonia come e forse meglio delle parole. “Alla scuola media nessuno aveva compreso la gravità della situazione di Stefano, ma non perché i fratelli fossero reticenti, bensì perché ne raccontavano in maniera normale”. Stefano è cresciuto in famiglia, nell’amore. Marco oggi ha 32 anni, è sposato e tra breve diventerà padre per la seconda volta. La tesi di laurea in ingegneria porta una dedica. “Tra tutti il pensiero più intenso è rivolto a Stefano. – scrive – A lui devo sicuramente attribuire la responsabilità delle mie qualità positive (poche) e forse anche negative. Certamente è la persona che ha più influito sul mio modo di pensare, di comportarmi, e di vivere. Da lui – prosegue l’ingegnere Marco Vandi – ho ricevuto autentici insegnamenti di vita che sempre custodirò gelosamente dentro di me. Non potrò mai, neanche in minima parte, ricambiare ciò che mi ha dato”.
Massimo, il secondogenito di casa Vandi, di anni ne ha 31, è geometra e vive ancora in casa con i genitori. Alla sera, di ritorno a casa, è il primo ad accudire Stefano. Anche Sara, la nipotina di 17 mesi, è affezionata allo zio: si siede sul letto accanto a lui, osserva i piedi, controlla che la nonna operi bene con il pannolino. Partecipa con il resto della famiglia a questa avventura d’amore, perché Stefano non è diverso da noi. La nonna Giuseppina lo ha sempre saputo. “Aggrappati alla preghiera – ha sempre suggerito alla figlia Bianca Rosa – ma non per invocare il miracolo che vorresti, bensì per amare Stefano ora e qui: avrai altri miracoli che neanche ti immagini”.
Stefano riposa nel suo letto. Durante il giorno è in cucina, più vicino alla mamma. Alla notte nella sua camera da letto, anche se il suo non è un sonno regolare ma contrappuntato da massaggi e interventi di alcune strumentazioni utili alla respirazione. “Ma niente di invasivo – assicura la madre e tutto fornito dall’assistenza pubblica”.
Alle 11.15 è l’ora del pranzo: Stefano necessita di due ore per assumere tramite Peg il latte. Poi la mamma lo prende in braccio, lo massaggia, lo accarezza, gli tiene le mani. E gli parla. Alle 15 è di nuovo ora di merenda. Giorgio è solare, Bianca Rosa è serena. Come fa ad avere ancora voglia di sorridere dopo 24 anni? “Le crisi, specie all’inizio, ci sono state e sono state anche violente. – assicura senza reticenze la mamma di Stefano – Ma quando pensavo di non farcela, è sempre sopravvenuto un fatto nuovo che ci ha dato la spinta di proseguire. È incredibile ciò che Stefano sa dare: quando ci lascerà, resterà un vuoto enorme. In ogni caso, ha creato molta unione tra noi, in famiglia”.
Per la medicina è un caso unico, la cui malattia è talmente rara da non avere ancora un nome. Dal 2008, però, i medici hanno scoperto che la causa risiede in un gene. “Non mi interessa che cos’ha, mi preme chi è”.
Paolo Guiducci