Dopo l’Amen della Colletta tutti si siedono per ascoltare Dio che parla, ovvero per celebrare la Liturgia della Parola. Sì, perché sedersi in Chiesa non è come sedersi al cinema o a teatro in cui si va a vedere o ad ascoltare: in Chiesa si va a celebrare, cioè ad agire, a partecipare a una grandiosa Opera che ha la Trinità come primo agente (il primo attore protagonista!). Ce lo insegna bene Sant’Agostino, che un giorno, prima d’iniziare l’omelia, disse ai suoi fedeli: «Io ora parlo sedendo, voi lavorate in piedi»! (Discorsi, 17,2).
La postura seduta dei fedeli è relativamente recente nella liturgia (XVI sec. per influsso della Riforma protestante), perché la posizione dell’uomo che prega e, soprattutto del cristiano, è quella in piedi, segno di trascendenza e di resurrezione (v. Catechesi: In piedi, n. 17, ilPonte del 2.12.2012). Fino al Medioevo non c’erano sedie nelle chiese (come tutt’oggi in quelle ortodosse); al massimo, ci si poteva servire delle cosiddette “misericordie” (travi sporgenti dai muri su cui ci si poteva appoggiare con la schiena) per anziani, donne incinte e malati (il nome ben definiva la funzione!).
Lo stare seduti è un gesto di convenienza (così chiamato negli antichi libri liturgici), perché adatto, consono, all’opera che si svolge: ascoltare con grande attenzione per poter rispondere con la preghiera (da quella dei fedeli fino a quella eucaristica) e con la vita (conversione e amore). Esso aiuta a orientare lo sguardo all’ambone, a concentrare il cuore sulla Parola proclamata e poi “spezzata” nell’omelia; libera dalle distrazioni e dai disagi che potrebbero sorgere da una prolungata postura eretta; consente di chiudere gli occhi per aprire meglio le orecchie, cioè di passare dallo sguardo all’ascolto e da questo all’interiorità nella meditazione, perché la Parola di Dio è nel cuore (Rm 10,8).
Tuttavia, lo stare seduti non corrisponde solo a un’esigenza di comodità, ma è molto di più: è un gesto, anzi, un atteggiamento liturgico, cioè esprime il significato di ciò che si sta facendo (Ordo Generale Messale Romano, 42). Tale significato affonda le sue radici nella Scrittura, in cui lo stare seduti esprime principalmente due atti fondamentali: insegnare e farsi discepoli.
Gesù insegna quasi sempre seduto (sul monte delle Beatitudini, Mt 5,1; sulla barca di Pietro, Lc 5,3; sul pozzo di fronte alla samaritana, Gv 4,6; nel tempio, Gv 8,2), come segno della sua autorità, tanto che tutt’ora “siede alla destra del Padre” (Mc 16,19; Credo). Pertanto, il sacerdote che presiede la Liturgia della Parola è sempre seduto, come Gesù, e dalla sede può tenere anche l’omelia, specialmente se è vescovo, il primo maestro della comunità (v. Catechesi: Sede di Presidenza, n. 15, ilPonte del 18.11.2012).
Stare seduti è anche simbolo del discepolo, di colui che si pone all’ascolto, alla scuola di Gesù: Maria di Betania, seduta ai piedi del Maestro, è la discepola “perfetta”, colei che ha scelto la parte migliore (Lc 10,39); le folle siedono attorno a Gesù per ascoltarlo (Mc 3,32) e anche Lui a 12 anni si era seduto in mezzo ai dottori per ascoltarli e interrogarli (Lc 2,46). Pertanto, quando i fedeli si siedono per celebrare la Liturgia della Parola si rivelano autentici discepoli di Cristo ed è come se fossero tante piccole “Marie” ai piedi di Gesù.
L’atteggiamento liturgico dello stare seduti, come le altre posture (in piedi o in ginocchio), ha anche un’altra finalità: concorre a realizzare la bellezza della celebrazione, a far sì, cioè, che essa risplenda per decoro e nobile semplicità (decore nobilique simplicitate fulgeat) (OGMR, 42). Per questo è essenziale che tutti i fedeli osservino le medesime posture durante la celebrazione e non che alcuni siano in piedi, altri seduti, altri ancora in ginocchio. L’atteggiamento comune del corpo, cioè il fatto che l’assemblea liturgica sia ordinata anche fisicamente (cioè sia bella), manifesta che essa è un corpo; ma non un corpo qualunque (come quello di un esercito schierato, una squadra, un coro), bensì il Corpo di Cristo (!), che è presente nell’assemblea che celebra (Concilio Vaticano II, SC 7). La comune postura manifesta l’unitàdi quel Corpo, la medesima volontà e gli stessi sentimenti(OGMR, 42).
Il nostro Rito romano prevede che i fedeli stiano seduti non solo durante la Liturgia della Parola fino all’omelia, ma anche durante la preparazione dei doni all’offertorio (fino alla preghiera sulle offerte che devono innalzare – alzandosi!) e possono sedersi dopo la Comunione; per venire incontro a coloro che hanno difficoltà a rimanere in piedi per lungo tempo, prevede che i fedeli possano ascoltare seduti una parte della lettura della Passio durante la Settimana Santa e, se il Gloria è cantato, possono sedersi dopo l’intonazione (OGMR, 43; Precisazioni Cei,1). Tali norme – precisa il Messale – hanno lo scopo di contribuire al bene spirituale comune del popolo di Dio, più che al gusto personale o all’arbitrio (OGMR, 42).
Elisabetta Casadei
* Le catechesi liturgiche si tengono ogni domenica in Cattedrale alle 10.50 (prima della Messa).