Da brunch a whatsappare, sono tanti gli anglicismi che stanno contaminando (arricchendo?) la nostra lingua. Nella maggior parte dei casi questa globalizzazione linguistica non ha operato che traduzioni letterali di medesimi concetti (un meeting è una riunione), ma esistono parole “importate” che in Italia hanno introdotto se non mondi nuovi da esplorare, senz’altro una inedita ventata d’aria fresca di cui si sentiva la necessità. Una di questa è Stand Up Comedy. “Forma letteraria americana caratterizzata dalla presenza sul palco di una sola persona, in genere senza costumi di scena, con lo scopo esplicito di raccontare storie che suscitino la risata del pubblico”, o almeno in questi termini ne parla un ardito trattato (Stand Up Comedy di E. Tafoya) che la presenta come vero e proprio genere letterario contemporaneo e azzarda addirittura esplicite analogie tra l’Inferno dantesco e, ad esempio, le intime confessioni di Richard Pryor (comico afroamericano, tra i massimi esponenti del genere). Ricapitolando: comico solo, dunque niente Fichi d’India; senza costumi, dunque niente Baz; e che faccia ridere, dunque (opinione personale) niente Pintus. Più in generale, niente e nessuno dei volti che negli ultimi decenni hanno lardellato i vari programmi comici in tv.
Di cosa parliamo dunque, quando parliamo di stand up? Di un comico in piedi sul palco? Non solo. Dai tempi dell’avanspettacolo ad oggi, anche l’Italia può vantare nomi di eccelsi interpreti. Parliamo anche di un punto di vista ben preciso sulla società, fresco, tagliente, lontano dai tormentoni o dai luoghi comuni (niente “suocere”, niente “sabati pomeriggi al centro commerciale” o campanilismi). Non ci sono inibizioni, tabù, gli argomenti sono quelli che da Aristofane ad oggi sono i prediletti della satira: sesso, potere, religione, morte, affrontati senza censure, spesso con un linguaggio esplicito e “politicamente scorretto”. Si dileggia il potere, ma anche gli individui, si esprimono considerazioni feroci sulla vita, sulla società e sulle sue contraddizioni. Ma in maniera comica. Una comicità dunque per stomaci forti? Non necessariamente. Ci piace vederla come una possibilità che viene data agli spettatori di farsi un giro sull’ottovolante (cit. Rick Shapiro), dato che di comici che fanno sentire con i piedi ben piantati per terra ce ne sono già troppi.
Ho scritto “ci” perché in quanto giovane comedian riminese sono tra i responsabili dell’affermarsi di questo genere comico anche in Riviera. In collaborazione con Stand Up Comedy Italia (community fondata da Nicola Selenu) a partire dallo scorso anno abbiamo dato il via a collaborazioni più o meno stabili con locali che quest’anno sono addirittura aumentate. Il Circolo Milleluci nella sua rassegna, ospita mensilmente Open Mic, un microfono aperto a tutti coloro (professionisti e non) che vogliono esibirsi (la prossima, il 30 novembre). Il Mulino di Amleto accoglierà all’interno del suo cartellone una rassegna di tre spettacoli con comici professionisti (precisamente il 12 novembre, il 17 dicembre e il 14 gennaio). Mentre venerdì 2 dicembre, al Teatro Villa, si preannuncia una serata di risate a profusione con i comici che si alterneranno sul palco. Per non parlare degli appuntamenti comici al centro Sociale GrottaRossa, dello spettacolo al Lago Riviera il 18 novembre… Insomma, benché affermatasi in Italia da pochi anni, e a Rimini da ancor meno, si sta già diffondendo come un virus endemico. Virus che sta contagiando sempre più giovani, tantissimi quelli transitati per la Romagna nell’ultimo anno.
Alessandro Ciacci