La situazione in cui ci troviamo, come territorio, è davvero complicata. Siamo una località turistica e questa pandemia sicuramente ci ha colpito più forte di altri. Tanto per dare qualche numero…
Siamo passati da 16 milioni di pernottamenti del 2019 a circa 9 milioni nel 2020.
Quasi un dimezzamento, che sta già avendo ricadute pesanti. Una realtà che va a sovrapporsi ad una situazione che già presentava più di un elemento di criticità: minore produzione, rispetto alla media regionale, di valore aggiunto; salari medi di 16mila euro l’anno quando in Emilia si viaggia su 25-26mila euro, ecc…
Dopo l’intervista esclusiva nello scorso numero di TRE, al presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, in questo è la volta di Paolo Maggioli, numero uno di Confindustria Romagna.
Presidente, se i ristori e le altre forme di sostegno annunciati dal Governo, in particolare al settore turistico, sono arrivati o stanno arrivando, non crede sia l’occasione per ripensare al nostro modello di sviluppo, cercando il cammino per recuperare gli svantaggi che lo caratterizzano?
“Innanzitutto dobbiamo dire che quello successo al nostro territorio purtroppo è capitato a tutte le località turistiche. Il fatto che la gente non si può muovere evidentemente ha inciso tantissimo e ne stiamo pagando le conseguenze, che purtroppo stentano a finire. E’ chiaro che questo, come lei ha accennato, si è sovrapposto ad una situazione che, da diversi anni, turisticamente parlando non stava crescendo come ci si sarebbe potuto aspettare. Come sempre accade, in un territorio già fragile, l’effetto di una crisi del genere è ancora più dirompente. Noi siamo obbiettivamente più in difficoltà non solo nei confronti delle province emiliane, ma della stessa Romagna. Con questo dobbiamo cercare di fare i conti e reagire. La ripartenza sarà complicata. I ristori cominciano ad arrivare, ma sino ad oggi nemmeno lontanamente coprono la perdita delle entrate”.
La pandemia, come detto, si aggiunge a criticità che già esistevano e una di queste riguarda il turismo, i cui pernottamenti fatturati sono gli stessi da vent’anni. Un settore dove la retribuzione media annua si ferma a 7.500 euro, quando nel manifatturiero supera 25mila euro, posizionandosi sui migliori risultati regionali. A questo punto, si potrebbe argomentare che il risultato è scontato considerando la stagionalità. Ma la sorpresa è scoprire che a parità di condizioni, cioè se prendiamo i contratti a tempo indeterminato dell’uno e dell’altro, il risultato è che lo stipendio medio nel turismo è di 15mila euro, quando nella manifattura sale a 28mila euro (fonte Inps). Quasi il doppio. E’ chiaro che esiste un problema di produttività e di competitività su cui dobbiamo intervenire, per creare migliori occasioni di lavoro.
Confindustria Romagna cosa propone al riguardo?
“Aggiungerei, e c’è da riflettere, che noi siamo anche il territorio col maggiore numero di giovani che se ne vanno e fanno fatica a tornare. Diciamo spesso, come Confindustria, che il turismo ha una grande rilevanza per il nostro territorio. La nostra economia la possiamo divedere grosso modo a metà: cinquanta per cento turismo e cinquanta manifattura. E’ evidente, quindi, che il turismo condiziona pesantemente tutto il resto. Per due motivi: perché il turismo, di suo, è invasivo; secondo, il fatto che il nostro turismo ha smesso di crescere e ha inciso molto sulla riqualificazione del settore. Sappiamo che in tanti casi, forse la maggioranza, le nostre strutture ricettive non sono più all’altezza della fama che Rimini si è conquistata. Non sono più aggiornate. La pandemia dovrebbe essere l’occasione per una riqualificazione importante di tutta l’offerta turistica di questo territorio. Una riqualificazione per far diventare Rimini più appetibile per una fascia di mercato più alta. Probabilmente non è più tempo d’aver un numero di alberghi così ampio, con una qualità media discutibile, non appetibile per quel turismo di qualità che vorremmo vedere crescere.
Ci sono un 20-30% delle attività ricettive che non avevano prima, ma ancora meno dopo la pandemia, motivo di esistere. Gli spazi lasciati liberi potrebbero servire a far crescere e migliorare quelle che restano, aumentandone la competitività. Da cui potranno derivare anche stipendi più competitivi. Da questo punto di vista Rimini deve fare uno sforzo molto grosso”.
Quando lei parla del 30% di alberghi non più competitivi, dato che in totale, come provincia, ne abbiamo più di 2mila, stiamo dicendo che ci sono 600 strutture di troppo. Conviene?
“E’ una percentuale approssimativa. Mi accontenterei anche del 20%. Poi ci vuole tutto il resto. Come si sta facendo con la riqualificazione del lungomare”.
Riqualificare il lungomare è importante, ma le ricordo che Riccione lo ha fatto più di un decennio fa, ciononostante i suoi pernottamenti sono restati quasi gli stessi. Questo vuol dire che certe opere non sono sufficienti. Se non si pensa anche a prodotti diversi da offrire. Oggi, nel turismo, si lavora mediamente 130 giorni l’anno. Ci vuole un ulteriore salto nella destagionalizzazione. Grazie a fiere e congressi i pernottamenti non stagionali sono arrivati al 16% del totale. Dovremmo puntare al 30 per il prossimo decennio.
“Questa è la seconda parte del discorso. Certamente riqualificare non basta. Consideriamo, comunque, il 16% un buon inizio. Credo che nessuno si potesse aspettare che in un periodo comunque breve Rimini potesse diventare una piazza anche per il turismo d’affari. E’ stato fatto un lavoro eccezionale. Però, bisogna dire anche che, a nostro parere, l’offerta qualitativa non sempre è stata quella che doveva essere. Noi ospitiamo congressi e fiere importanti, che riempiono la città, ma spesso siamo costretti a mandare gente in strutture alberghiere o della ristorazione assolutamente non all’altezza. Su questo c’è ancora molto da fare.
Sul discorso delle fiere, che il Covid ha azzerato, c’è la tanto auspicata unione con Bologna, che noi sosteniamo, stando però molto attenti agli interessi e alla crescita di questo territorio. L’obiettivo di arrivare al 30% credo sia certamente ambizioso, ma è un obiettivo a cui dobbiamo puntare. Noi abbiamo congressi e fiere di livello internazionale, dobbiamo continuare e mirare a crescere con manifestazioni sempre più importanti”.
Gestione delle spiagge. Anche questa, salvo contate eccezioni, immobile da oltre mezzo secolo, quindi da aggiornare. Anche con l’immissione di energie nuove. Voi siete favorevoli alla messa a gara delle concessioni?
“Non sarò popolare, ma credo che andare contro la storia sia quasi impossibile. Immaginare che le nostre spiagge possano continuare ad essere gestite come venti o trent’anni fa non è più attuale. Ci sono ancora pochi esempi di stabilimenti balneari che hanno fatto un percorso in direzione di offrire servizi completi che invogliano gli ospiti a restare il più possibile in spiaggia. Credo, quindi, che qualche innovazione vada fatta. Trovo assurdo e antistorico che sulla spiaggia, sotto l’ombrellone, non ci siano servizi per poter mangiare, bere e altro. Servizi che oramai si trovano in tutte le spiagge d’Europa”.
Capitolo manifattura: argomento in genere poco trattato
Intervistando il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, abbiamo fatto presente i nostri ritardi storici (basso valore aggiunto, stipendi ridotti, ecc… dove il turismo ha un grosso peso) e, semplificando, la risposta è stata: <alla manifattura ci pensa l’Emilia, voi avete il turismo e andate avanti con questo>. Nella nostra manifattura provinciale lavorano, come dipendenti, 18mila persone, nel turismo 33mila. La differenza è evidente. Eppure, se andiamo a vedere, il monte salari pagati scopriamo che quelli della manifattura ammontano a 478 milioni di euro, a fronte di 251 milioni pagati nel turismo (fonte Inps, 2019). Praticamente la metà. Nonostante quasi il doppio degli occupati. Questo spiega in abbondanza i bassi salari pagati.
A Rimini, nonostante gli indubbi vantaggi, non c’è proprio spazio per una manifattura tecnologica e di qualità?
“Sono dati che non mi sorprendono. A Rimini e in tutta la Romagna c’è una manifattura che funziona, anche bene. Offre un lavoro, oltre che pagato meglio, anche più duraturo e stabile, che non è proprio un particolare indifferente. Immaginare di abbandonarla sarebbe un errore enorme. E’ vero, però, che in questo territorio il turismo corre il rischio di sacrificare altre cose. L’attenzione che gli si da è giusta, ma non possiamo dire che le Amministrazioni dedichino alla manifattura la stessa attenzione. Ed è un grave errore. Per i motivi citati. Dobbiamo far convivere queste attività. Lo dico da riminese, non possiamo ritenerci soddisfatti del fatto che la nostra provincia sia la più fragile e debole, non solo della regione, ma della stessa Romagna. E’ assurdo volersi rassegnare a una situazione che mette i nostri figlie e nipoti in una situazione di subordine rispetto ad altri territori. Spero che nessuno si voglia assumere questa responsabilità. Noi abbiamo una situazione nella quale ci sono tantissime aziende, la maggior parte della manifattura, che nonostante tutto non stanno utilizzando la cassa integrazione, pensano di fare investimenti e di assumere anche nel 2021. Le aziende non chiedono alle Amministrazioni chissà che cosa. Chiedono più spazi, una viabilità diversa, in breve una maggiore attenzione. Più spazi vuol dire più investimenti, più assunzioni, ecc… Velocemente, perché il mercato non aspetta. Ricordo che nel nostro territorio ci sono aziende che competono, a livello nazionale e internazionale, in tanti settori (dalla meccanica, all’informatica, ecc…). Mettiamo, le aziende che lo vogliono fare, nella condizione di poter crescere, senza dover scegliere di trasferirsi altrove. Cosa che ultimamente sta succedendo troppo spesso. L’altra cosa che voglio dire è che visto che si annunciano investimenti esteri in arrivo, si parla di aziende cinesi e altre, e noi ci consideriamo parte dell’Emilia Romagna, non capisco perché un’azienda non possa venire ad aprire uno stabilimento in Romagna. Anzi lo capisco. Per essere attrattivi dobbiamo creare le condizioni. Che al momento non ci sono. C’è un problema di spazi, non qualunque ma adatti ad insediamenti moderni, e di collegamenti. Per esempio l’assenza dell’alta velocità, che si ferma a Bologna, non ha motivo di esistere. L’alta velocità lungo la dorsale adriatica è una urgenza, anche molto forte. La raggiungibilità è un punto di forza per il territorio, anche per attrarre collaboratori da fuori”.