Anteprima della stagione operistica bolognese con Mirandolina del compositore ceco Bohuslav Martinů e un libretto tratto da Goldoni
BOLOGNA, 15 gennaio 2023 – Da quando la storica sala teatrale del Bibiena non è più utilizzabile, le rappresentazioni del Comunale bolognese hanno cambiato sede. Così, a dare ospitalità a questa anteprima di stagione è stato l’Auditorium Manzoni: una scelta che, per Mirandolina, ha implicato la rinuncia a una regolare messinscena, sostituita da una più minimalista ‘mise en espace’.
Autore della musica e del libretto in italiano è Bohuslav Martinů, anche se, per una lingua non sua, si è avvalso probabilmente della collaborazione del letterato siciliano Antonio Aniante. Il compositore ceco scrisse questo lavoro di getto tra il 1953 e il ’54, approfittando del fatto che in quel periodo usufruiva di una borsa di studio della Fondazione Guggenheim, ma Mirandolina andò in scena soltanto nel 1959 a Praga: città che in quegli anni doveva fare i conti con un regime non proprio favorevole alle novità. Tratta dalla commedia La locandiera, ne mantiene intatta l’originaria freschezza dei personaggi, e non soltanto per l’utilizzo del testo goldoniano, ma grazie a una musica capace di esaltare l’avvincente ritmo dei dialoghi concepiti due secoli prima dal grande commediografo veneziano.
A dirigere quest’‘opera comica in tre atti’ è stata ovviamente Oksana Lyniv, attuale direttore musicale dell’Orchestra del Comunale, che ha saputo trarre dagli strumentisti – molti di loro avevano già suonato Mirandolina quando andò in scena a Lugo nel 2003 – sonorità sempre nitide e precise, in grado di esaltare la scrittura di Martinů. Assai ben valorizzati gli intermezzi orchestrali, uno per ogni atto, e il divertente ‘saltarello’ (omaggio a un’italianità filtrata attraverso Mendelssohn) che conclude il secondo atto; un po’ meno efficace il rapporto con gli interpreti – tanto rigore ritmico non sempre giova ai cantanti – che produce qualche piccolo scollamento, anche a causa di una posizione penalizzante, con l’orchestra alle spalle. E se qualcosa si può rimproverare alla Lyniv – sono peraltro caratteristiche che ne denotano una certa estraneità alla concezione italiana del suono – è proprio la mancanza di libertà in termini agogico-dinamici necessari a imprimere maggior ariosità a una partitura che contrappunta un soggetto lieve e giocoso.
Lascia invece perplessi il versante visivo, tanto più che l’eleganza un po’ algida della lettura musicale entra in rotta di collisione con la ‘mise en espace’ di Gianmaria Aliverta. In luogo della locanda goldoniana, il regista delinea con pochi oggetti di scena una moderna spa di cui usufruiscono i tre ospiti in accappatoio bianco, mentre si contendono le grazie della padrona. Purtroppo la caratterizzazione dei personaggi appare eccessivamente farsesca rispetto a una musica, come quella di Martinů, che punta soprattutto a valorizzare la bellezza dei dialoghi e il fascino del teatralissimo ingranaggio.
Nei panni della protagonista, il soprano ucraino Olga Dyadiv è una procace locandiera: sempre molto sicura vocalmente e dall’ottima dizione italiana anche nei rari interventi parlati. Simone Alberghini interpreta lo squattrinato Marchese di Forlimpopoli, avendo cura di non spingere troppo il pedale caricaturale. Andrea Schifaudo, il danaroso Conte d’Albafiorita, è raffigurato come uno dei ricchi cafoni di oggi, che ricorre a interiezioni dialettali del sud abbinandole a una gestualità volgarissima. Grazie a un’apprezzabile duttilità vocale Omar Montanari costruisce un convincente Cavaliere di Ripafratta, prima acerrimo nemico delle donne, poi innamorato cotto della Locandiera. Il cameriere Fabrizio, che alla fine riuscirà a sposare Mirandolina, era interpretato dal contegnoso e inappuntabile tenore Leonardo Cortellazzi. Non scherzano invece quanto a sguaiataggine le due commedianti, qui declinate come coppia lesbo, ossia Giulia Della Peruta (un’Ortensia svenevole bamboletta) e Aloisa Aisemberg (trucida Dejanira). Sono scelte che non fanno ridere e, soprattutto, non hanno molto in comune con la leggerezza di Goldoni. E nemmeno con la musica di Martinů.
Giulia Vannoni