ROF, proposto al Teatro Rossini l’allestimento di cinque anni fa del dramma giocoso giovanile L’equivoco stravagante
PESARO, 12 agosto 2024 – Si rimane stupefatti ascoltando le parole dell’Equivoco stravagante, libretto messo in musica nel 1811 da un Gioachino Rossini appena diciannovenne. E non stupisce neppure che, dopo la terza replica, questo ‘dramma giocoso’ venisse precipitosamente ritirato – per motivi di censura – dal palcoscenico bolognese del Teatro del Corso. Il libretto di Gaetano Gasbarri, funzionario amministrativo e letterato a mezzo servizio, inanella infatti a ritmo forsennato una serie di surreali nonsense linguistici, in cui abbondano doppi e tripli sensi dall’inequivocabile significato sessuale. In mezzo a questa travolgente marea di parole il giovane Rossini sguazza con la massima disinvoltura (come farà, del resto, l’anno successivo con La pietra del paragone) e ne enfatizza il significato attraverso la musica.
Non sono tanto l’audacia del soggetto e una vicenda dai risvolti scabrosi (la protagonista Ernestina viene fatta passare dal pretendente Buralicchio per un eunuco) a stupire lo spettatore: è soprattutto il lessico, mutuato dagli ambiti più disparati, che i personaggi utilizzano sia in modo improprio sia storpiandolo smaccatamente. Vocaboli che fanno il verso alle smanie intellettualistiche della protagonista, nonché alle sentenze pseudoforbite del ricco spasimante e del padre Gamberotto (in realtà due ridicoli parvenu), sfiorando apici di comicità degni dei più sublimi dialoghi tra Totò e Peppino. Tuttavia non si tratta mai di una lingua banalmente triviale: ascoltati con attenzione, i versi di Gasbarri forniscono la prova migliore di come nei libretti d’opera convergessero davvero echi di ogni provenienza culturale. Dietro le fattezze di un grottesco latinorum passava davvero di tutto: dalla terminologia burocratico-forense alle novità scientifiche (ad esempio Gamberotto usa la parola ‘atomo’ sdoganata solo qualche anno prima dalla scienza).
Spetterà dunque all’esecuzione valorizzare tale vorticoso meccanismo. Michele Spotti ha affrontato la partitura dell’Equivoco con bel piglio, dirigendo in modo sciolto e scorrevole, con grande attenzione ai tempi comici. Ha impresso così un andamento vivace alla musica e ottenuto dalla Filarmonica Gioachino Rossini sonorità stilisticamente corrette, fornendo pure un buon sostegno agli interpreti e facilitandoli nel compito di valorizzare le parole di questo vero e proprio congegno linguistico a orologeria.
Lo assecondava un cast ben affiatato: tutto è sembrato funzionare meglio rispetto all’edizione del ROF 2019 (si tratta infatti di una ripresa, ripensata per le dimensioni del Teatro Rossini, sicuramente molto più congeniali degli enormi spazi dell’Arena Vitrifrigo). I registi Moshe Leiser e Patrice Caurier, che si sono avvalsi ancora della collaborazione di Christian Fenouillat per la scena fissa e di Agostino Cavalca per i costumi d’epoca, questa volta realizzano uno spettacolo più sobrio, asciugato da inutili interferenze e funzionale al meccanismo comico.
Va poi riconosciuto a tutti gli interpreti il merito di un’ottima dizione, tenuto conto che molti cantanti non sono neppure italiani. Nei panni di un caricaturale ‘buffo parlante’, Nicola Alaimo ha supplito con l’accento a qualche disomogeneità dell’emissione, ma a essere ideale è soprattutto la sua debordante presenza scenica: un physique du rôle perfetto per il contadino arricchito Gamberotto. È invece il classico ‘buffo cantante’ il baritono spagnolo Carles Pachon, ottimo attore e avveduto stilista, come dimostra fin dalla cavatina Occhietti vezzosi. Dotata di un’ampia estensione, il mezzosoprano russo Maria Barakova è stata una spiritosa Ernestina sul piano scenico e un’apprezzabile vocalista, sempre sicura nelle colorature del rondò con coro Se per te lieta ritorno (che finirà poi nella Pietra del paragone). In un ruolo da tenore di mezzo carattere, come quello di Ermanno, Pietro Adaíni si è disimpegnato onorevolmente, anche nella sua aria del secondo atto. Completavano la compagnia il soprano spagnolo Patricia Cavalche, nelle vesti della cameriera Rosalia, e lo spiritoso Matteo Macchioni, interprete del servo Frontino, entrambi con la loro aria di sorbetto. Apprezzabile pure il contributo del Coro del Teatro della Fortuna (diretto da Mirca Roscaini), qui nella sola componente maschile. Soprattutto, ben valorizzato dalla regia.
Giulia Vannoni