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‘Sorelline’, la Chiesa e la donna

Don Oreste e Francesco, il profeta e il pastore (2). Abbiamo chiesto alla sua postulatrice un confronto: le convergenze, le consonanze, le affinità, perfino di stile

Il 27 ottobre scorso, in Vaticano, si è concluso il Sinodo della Chiesa (e non solo dei vescovi!). Già un paio di settimane prima, però, era scoppiata la “bomba” della questione del ruolo delle donne nella Chiesa, proprio nelle mani del Prefetto del Dicastero della Fede, il giovane cardinale Victor Fernandez, che si vide “costretto” ad incontrare le donne (e non solo) partecipanti al Sinodo e a renderne pubblico l’audio: « Un’ora e mezza di dialogo libero, fraterno, schietto », riportò il Vaticano.

Il fatto fa emergere che nella Chiesa c’è un travaglio – tra i tanti – sulla questione “donna”, forse tra i più difficili e dolenti. Travaglio, che hanno vissuto nella loro storia personale anche il Profeta e il Pastore di questa rubrica, ma che nella loro grandezza di “padri della Chiesa” sono riusciti però a superare, e a giungere a conclusioni e a scelte di valorizzazione ecclesiale della donna, che la Chiesa oggi, nel suo insieme, fatica a raggiungere.

Vediamoli insieme.

L’uno ne ha 87; l’altro ne avrebbe oggi 99. Il primo, nato e cresciuto sotto governi militari e poi educato nella rigida disciplina gesuitica, che per volere del suo fondatore (S. Ignazio di Loyola) esclude in modo categorico la presenza di donne accanto alla Compagnia; l’altro, nato e cresciuto nell’humus clericale dei “forti e puri”, che imponeva ai seminaristi di recidere ogni “affetto particolare”, ed educato nell’orizzonte degli ideali fascisti – “ Dio, Patria e Famiglia” – e delle sue parole d’ordine: “ credere, obbedire, combattere”, che ben poco spazio lasciano alle donne, se non nel focolare domestico e a bocche chiuse e a mani giunte in chiesa.

Infatti, è proprio nelle loro famiglie che hanno visto e sentito l’importanza della donna: il primo, nella mamma Regina e nella nonna Rosa, che da Papa ricorderà con lo stupore di molti: « Ho ricevuto il primo annuncio cristiano da una donna: mia nonna!

» (Pentecoste 2013). Il secondo, nella mamma Rosa, piena di fede e di vita, della quale ricorda che si alzava presto al mattino per andare a Messa e che « non dormiva mai, che cantava sempre, perché aveva voglia di vivere » (Incontro Case famiglia, 1994). Da lei, inoltre, apprende in maniera vitale, a mo’ di latte materno, il nucleo della fede, come abbandono e affidamento a Dio, riflesso nel noto episodio del ricamo.

Poi, dalle loro insegnanti: la dottoressa Ester di chimica, marxista, che trasmise al giovane Jorge il forte senso di giustizia e del rigore scientifico, e a cui rimarrà legato per tutta la vita. La maestra Olga, che in seconda elementare fece scoprire al piccolo Oreste la propria vocazione, quando parlò alla classe dello scienziato, del pioniere e del prete: « Sono rimasto come rapito – ricorderà ancora a pochi mesi dalla morte – sono andato a casa e alla mia mamma ho detto:

Mamma, io mi faccio prete”! » (Omelia, 2007).

Unire i due orizzonti, quasi i due mondi, quello vitale della famiglia e della scuola da una parte, e quello politico-religioso della cultura dominante dall’altra,

non deve essere stata impresa facile per i due giovani sacerdoti.

L’impresa di padre Bergoglio non ci è dato ancora di conoscerla, poiché manca una biografia dettagliata; ne possiamo conoscere solo l’esito, nell’insegnamento e nelle scelte di affidare a donne ruoli importanti nella Curia Romana. Possiamo invece scoprire l’impresa e il travaglio personale di don Oreste, grazie ai tanti documenti raccolti per la sua causa di beatificazione.

Essi mostrano che fino a 50 anni (!) il prete riminese era ancora imbevuto di sprezzante clericalismo riguardo

le donne nella Chiesa. Le riteneva addirittura inabili a vivere una vera vita cristiana, come si evince da un suo appunto, a margine della prima visita alle famiglie della parrocchia (1968): « Abbiamo due Chiese: una di donne e una di uomini. Le donne vivono di robine, di devozioni, di particolarismi, ecc. Per loro la religione è sentimento (alle volte e non so quante) non sufficientemente soddisfatto altrove. Per l’uomo la religione è vita, con gli uomini si ragiona. La Chiesa è stata in mano alle donne! ».

La formazione seminaristica in epoca fascista, inoltre, non l’ha certo aiutato a fare i conti con le sensibilità e le intelligenze femminili, e men che meno con i loro corpi, mantenuti sempre a “distanza di sicurezza”. Sull’argomento, le testimonianze sono numerose e concordi: mai in auto o in aeroporto da solo con una donna; mai abbracciarla in pubblico, perfino le sorelle e le nipoti; e quando qualcuna osava superare la “linea gialla”, lui allungava il braccio per farle una croce sulla fronte. Certamente non si trattava sempre di custodia degli umani sensi, perché per un prete di strada come lui, era doveroso non dare adito alle famigerate “chiacchiere a grappolo”, che avrebbero infangato anche le sue comunità.

Malgrado questo suo retroterra, don Oreste era però attento e acuto osservatore della realtà, con un cuore teso alla conversione e stampato su quello di Cristo buon pastore. Dalla seconda metà degli anni ’70, infatti, vediamo che diviene sempre più consapevole che sono in particolare le donne ad aprire strade importanti: la prima casa famiglia a Coriano con Ida (1973), la via delle missioni con Tina e Irene (1982) e le case di preghiera con Maria (1988); in parrocchia le donne portano avanti l’asilo (1968), l’Albina si offre ad aprire la prima casa famiglia (1973), le madri si aprono all’affido di chi una famiglia non ce l’ha (1974) e, ancora grazie alla provocazione di una donna, prende avvio l’adorazione continua delle famiglie per le famiglie della Grotta Rossa (1977).

Anno dopo anno, ne intuisce le caratteristiche peculiari: la sua innata oblatività, che la rende capace di prendersi cura anche delle vite piagate dalla disabilità e di far diventar l’uomo uomo, da “giocherellone” a marito e padre; la sua superiore intelligenza emotiva, per la quale è incline a dare fiducia

e a non condannare, riducendo la persona ad un suo particolare, e perfino a capire meglio Dio; la sua capacità empatica con i più fragili.

Giunge a ritenere che le donne possano addirittura cambiare il mondo, convertirlo, perché con la loro dolcezza e armonia, con la loro capacità di relazione e di intuire Dio (e alcune con la loro purezza verginale), portano le persone a livelli più alti, facendo entrare in un altro modo di pensare.

Una volta visto, “ non può più far finta di non aver visto”

– come soleva dire – per cui ha la forza e il coraggio di trarne le conseguenze anche sul piano delle scelte: nel 1984 affida ad una donna la responsabilità della zona di Rimini, il primo nucleo della Papa Giovanni XXIII: praticamente, “metà del suo regno”!

Confermerà la scelta per altri due mandati a due donne

diverse. Inizia ad auspicare una maggiore partecipazione della donna nella Chiesa e, alle soglie dei 70 anni, giunge a dire: « Se lo Spirito Santo guidasse la Chiesa a dare il sacerdozio anche alle donne e i preti a sposarsi, sarei apertissimo » (Incontro consacrati, 1991).

Non deve stupire, quindi, se negli anni ‘90 questo figlio del patriarcato riesce, non senza la grazia di Dio, ad incontrare e a relazionarsi anche con i corpi nudi delle donne di strada: non scappa più e diviene capace di oltrepassare la “distanza di sicurezza”, andando loro vicino per chiedere: « Do you love Jesus?».

I suoi occhi, il suo cuore sono ormai cambiati.

Anzi, è proprio accanto a loro che capisce ancor più la bellezza della castità: « Le ragazze fatte prostituire sulla strada mi hanno fatto capire la bellezza della castità e il bisogno profondo di relazione con Dio Padre» (1999). A due anni dalla morte, testimonia: « In 56 anni di sacerdozio ho visto tanti uomini e donne e ho visto come veramente la donna porti a Dio con il suo essere, perché è dono in se stessa » (Omelia).

Spostiamoci ora sul soglio di Pietro. A pochi anni di distanza, nel 2013, nel documento programmatico del suo pontificato, papa Francesco tiene a dire che « c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa […] anche dove vengono prese le decisioni importanti » (Evangelii Gaudium, 103).

Continuare a criticarle e a escluderle è segno di « una Chiesa eccessivamente timorosa e strutturata» , cioè morta (Christus vivit, 2019). Non perde tempo: nomina una giovane donna direttrice dei Musei Vaticani (2017), due sottosegretarie al Dicastero dei Laici (2017), una Segretaria al Dicastero per i Religiosi (2023); per la prima volta nella storia, tre donne diventano membri del Dicastero dei Vescovi (2022), che ha anche il compito di valutare le scelte dei vescovi nel mondo; e nomina una donna ad esercitare il potere esecutivo nella Città del Vaticano come Segretario generale (2021), i cui cittadini sono in gran parte preti, vescovi e cardinali.

Quando le direttive ai vescovi trovano orecchie da mercante o spine dorsali molli, papa Francesco prende l’iniziativa e dà l’esempio. È il caso dei ministeri istituiti del Lettorato e dell’Accolitato allargati alle donne (2022), di cui sono stata testimone quando dirigevo a Roma un Collegio teologico femminile. Le Diocesi non si muovevano. Un giorno mi chiamano dal Vaticano per chiedermi se c’erano 5 studentesse già pronte per ricevere subito dal Santo Padre il ministero del Lettorato. La notizia della loro istituzione (insieme a tante altre) fece presto il giro del mondo e così le Diocesi hanno iniziato a prevedere corsi specifici per preparare anche le donne a questi ministeri, che del resto, è già da tanto (troppo!) tempo che leggono in chiesa, preparano gli altari e fanno catechismo!

Ma c’è di più. Papa Francesco tiene a dire che non è sufficiente valorizzare la donna nella Chiesa dandole ruoli di autorità. C’è un di più, un oltre (ragion per cui è cauto nell’aprire al diaconato femminile) e ciò lo pone in piena sintonia con don Oreste: « Non si tratta di dare più funzioni alla donna nella Chiesa – Sì, questo è buono, ma così non si risolve il problema. […] Il ruolo della donna nell’organizzazione ecclesiale va oltre, e dobbiamo lavorare su questo oltre, perché la donna è l’immagine della Chiesa madre, perché la Chiesa è donna » (Discorso 2019). Questo oltre – spiega – è il modo di vedere, di pensare, di sentire, di fare, di relazionarsi che sono proprie della donna, come le ha ben descritte don Benzi, osservando acutamente e con cuore aperto le sue “sorelline” – come soleva chiamare ogni donna: le madri delle case famiglie, le giovani operatrici come Sandra Sabattini, le consacrate, le nonne della parrocchia, le nomadi e sì, anche le prostitute, che ci precedono tutti nel Regno dei Cieli!

Elisabetta Casadei
Postulatrice causa beatificazione don Oreste Benzi