Dal 2016 opera come volontaria alla Casa Circondariale di Rimini, dove incontra tante persone fragili insieme con gli amici della Pastorale carceraia della Diocesi.
“Spesso sono persone non pensate da nessuno”
Dinamica, serena e affabile, suor Gabriella Mazzoni è l’amica che tutti vorrebbero. Presta servizio in carcere a Rimini: una missione molto preziosa la sua.
La capacità di ascoltare di suor Gabriella non è comune. E il ruolo che ricopre lo vive con entusiasmo e partecipazione. Nata a Rimini nel settembre 1963, prima ancora di entrare ai Casetti di Rimini, suor Gabriella aveva già fatto esperienza con i fratelli in detenzione durante la missione in Etiopia ( nella foto piccola). “ In particolare con la comunità di Nazareth, e ad Addis Abeba con fratelli laici che si occupavano di questo servizio. In qualche caso ho portato con me uno dei ragazzi della nostra missione adottato a distanza. La situazione in carcere sperimentata in Etiopia è diversa da quella che si vive in Italia”.
Suor Gabriella è religiosa delle suore francescane missionarie di Cristo e coordinatrice della Pastorale Carceraria della Diocesi di Rimini.
Ma qual era il suo sogno da bambina?
“Non avevo un vero e proprio sogno. A volte qualcosa si può dimostrare coi gesti o con qualcosa che ti raccontano e ti resta dentro.
Ricordo, ad esempio, che dopo la doccia giocavo con un asciugamano. Oggi mi ritrovo non un asciugamano ma il velo che indosso.
Alla stessa età la mia maestra ci raccontava storie di santi, io rimasi colpita da San Martino. «Anche io vorrei vedere Gesù», mi sono detta. In alternativa mi sarebbe piaciuto fare la parrucchiera”.
Chi ha influenzato le sue scelte?
“La mia famiglia: ognuno di loro c’è sempre stato. Mia nonna ad esempio mi faceva pregare il rosario in latino (eravamo nel passaggio dal Concilio Vaticano II all’utilizzo dell’italiano nella liturgia), io mi addormentavo e lei mi scuoteva. È stata la prima insieme alla mamma ad avvicinarmi alla fede.
Anche in parrocchia ci sono state persone che mi hanno accompagnato e dato il là per continuare il percorso. Molto importante per il cammino di fede è stata pure la frequentazione degli scout”.
Quando ha iniziato il servizio in carcere a Rimini?
“Il 29 maggio 2016, anno della Misericordia, precisamente il giorno del Corpus Domini.
Una coincidenza che ha segnato questa esperienza sia per il fatto di vivere la misericordia e cercare di vedere i fratelli che incontro con gli occhi del Signore, sia nel vivere la comunione con i fratelli volontari.
L’Ufficio di Pastorale Carceraria è attivo da 7 anni, prima era un servizio oggi è più riconosciuto come una vera e propria pastorale diocesana”.
Quale sentimento bisogna adottare per entrare in contatto con le persone ospitate all’interno dei Casetti, spesso disincantate e amareggiate dalla vita?
“Sono lì proprio per loro.
Nell’ultimo colloquio ho detto ad un carcerato: «Oggi non dovevo essere in carcere, sono venuta qui proprio per incontrare te». Spesso si tratta di persone non pensate da nessuno, per cui l’ascolto è fondamentale.
Se ho terminato un colloquio e debbo terminare di scrivere qualcosa sul fratello che ho appena incontrato, mi accorgo di perdere qualcosa della persona seguente, in attesa di colloquio. Allora smetto immediatamente di scrivere, anche se la documentazione è importante, e mi dedico tutta ed esclusivamente alla persona che ho di fronte”.
C’è qualche incontro che più di altri l’hanno segnata in questi anni?
“Ciascun detenuto è speciale. Ascolto e guardo ogni persona, ogni storia ed ogni volto.
Ogni persona è importante. Al di là dei limiti, ciascuno porta una storia sacra nel cuore”.
La felicità è lo scopo della vita, l’amore è la strada per essere felici. Come possiamo ridonare speranza e fiducia ai giovani sfiduciati e disillusi?
“Non è facile. A qualcuno di loro chiedo: «Mi racconti qualcosa di bello?». E loro di rimando mi rispondono: “Ma ti rendi conto di dove siamo?». È vero, l’ambiente può «rovinare» la persona, ma quando terminiamo il colloquio con una bella, sana risata da quel momento anche il carcerato gioca, scherza, parla, ecc Anche dentro le sbarre si può mantenere se stessi”.
Come vive questo servizio, come una seconda chiamata, dopo quella religiosa?
“Tornata dalla missione in Africa, Romania e Sicilia, mi è stato proposto questo servizio che sento veramente come una seconda chiamata. È un approfondimento della vocazione che vivo come suora francescana missionaria di Cristo”.
In questo tempo viviamo con un ‘mostro’ che è l’abitudine. Ci siamo abituati a vivere senza gentilezza, senza fiducia, senza Dio.
“Rispondo con le uniche parole che ho sentito pronunciare direttamente da don Oreste Benzi. Ad un bimbo di 11 anni che gli chiedeva: «Don, ma ci sono le persone cattive?», lui ha risposto: «Ci sono persone infelici».
Tanti di noi forse non conoscono che il cuore è fatto per la felicità e a volte si cerca nei luoghi sbagliati e non si può essere felici. Se potessimo stare accanto alle persone e aiutarle a rinvenire i segni di felicità che ciascuno porta dentro di sé, sarebbe una cosa bella”.
Cosa porta a casa dopo una giornata di servizio in carcere?
“La pena e il dolore di tanti cuori e storie e le metto nelle mani di Dio e nella preghiera delle consorelle a cui chiedo di accompagnarmi con la preghiera perché questi fratelli possano incontrare Cristo”.
Sinceramente: qual è il suo talento?
“Mi ritrovo bene nella figura di Bagheera.
Negli scout i lupetti dicevano che vedevano in me fermezza e dolcezza”.
Suor Gabriella, cosa la fa felice?
“Far felici gli altri, è una gioia”.