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Soffia forte lo spirito di Francesco

Il vescovo Francesco guidava la delegazione riminese al convegno ecclesiale di Firenze, convegno che si potrà definire storico se non altro per l’intervento di papa Bergoglio. L’abbiamo intervistato al ritorno in Diocesi.

Non le chiedo se questo convegno ecclesiale abbia o no tradito le attese, anche perché non se n’erano fatte troppe. Difficile negare che si è arrivati a questo appuntamento quasi come ad una tappa già fissata, ma, appunto, poco attesa. Con una premessa così negativa, com’è andata davvero?
“A chi gli chiedeva come erano andati gli esercizi spirituali appena conclusi, un gesuita rispondeva: «Te lo dirò l’anno prossimo». Fuor di metafora, al momento posso solo condividere alcune risonanze a caldo. Da Firenze mi sono riportato a casa una immagine, un messaggio, un sogno. L’immagine è quella dei «tavoli rotondi», in cui è stata suddivisa la «massa» dei 2.500 delegati. È stato uno dei momenti più gradevoli e graditi del Convegno: 250 tavoli circolari attorno ai quali 10 persone – tra cui 1 o 2 vescovi, due preti, qualche consacrato, diversi laici – hanno dialogato per due mezze giornate. Il messaggio più forte – manco a dirlo – è stato quello di papa Francesco: la «ricetta» del Nuovo Umanesimo è fatta di umiltà, di gratuità, di felicità, perfino di umorismo. Anche il sogno porta la firma di Francesco: una Chiesa «meno accomodata e un po’ più inquieta», in ricerca, che si interroga, insoddisfatta dell’esistente. Insomma una Chiesa sinodale, meno pianificata, che si fa spiazzare e mettere in discussione dal Vangelo”.

Una domanda da un milione di euro, per le poche righe che potrà contenere la risposta: a Firenze si è parlato di “Nuovo Umanesimo”. Che cosa è il Nuovo Umanesimo?
“Il Papa non ha fatto discorsi astratti sul Nuovo Umanesimo. Ha usato parole semplici e pratiche. Ha proposto alla Chiesa italiana un «minimalismo evangelico» centrato sullo sguardo all’umanità di Gesù, sulla predilezione per i poveri e sull’apertura al dialogo con tutti. Mentre Francesco parlava o mentre si parlava tra di noi, mi sembrava di riudire il cantus firmus del Concilio:«Chi segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo»”.

La società italiana è attraversata da divisioni, contrapposizioni aprioristiche, da una stanchezza anche culturale… Come ha trovato il clima all’interno del convegno, che, in parte, rappresentava la comunità cristiana nazionale?
“L’atmosfera me l’aspettavo piuttosto rigidina, attraversata dalle correnti fredde della «dea lamentela». E invece non è stato difficile farsi sorprendere dalle piacevoli brezze che sembra(va)no annunciare una primavera inattesa. Più di una volta veniva in mente la frase spiazzante di Gesù: «Alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano»”.

Quali le maggiori attese emerse, quali le speranze hanno espresso i delegati?
“Quelle di una Chiesa più evangelica e meno mondana. Più popolare e meno elitaria. Più dialogante e meno «dirimpettaia». Non una Chiesa ossessionata dal potere, tentata dai vari collateralismi di destra o di sinistra, che strizza l’occhiolino a ogni «surrogato di potere, d’immagine, di denaro». Una Chiesa che non si culla sulla sua presunta egemonia, che non punta su truppe d’assalto, che rinuncia a ogni forma di clericalismo (anche dei laici!), più femminile e materna, dove i preti rassomigliano al don Camillo di Guareschi: «un prete che ama i suoi parrocchiani, ne sa i dolori e le gioie, che soffre e ride con loro»”.

Il Papa ha chiesto autenticità e gratuità, spirito di servizio, attenzione ai poveri, capacità di dialogo e di accoglienza e ci ha esortati a prendere il largo con coraggio e a innovare con creatività, nella compagnia di tutti coloro che sono animati da buona volontà… Come il Convegno ha accolto l’invito del Papa?
“L’Assemblea di Firenze si sentiva a pelle che vibrava alle parole di Francesco. I ripetuti applausi «a scena aperta» erano tutt’altro che formali. Esprimevano insieme una consapevolezza responsabile del costo che quelle parole implicavano: né più né meno che il prezzo della conversione di persone e comunità, dalle più piccole alle più grandi. Ma dicevano anche la gioia del frutto più maturo della conversione: la riforma della Chiesa in uscita missionaria”.

Citando il filosofo e teologo Cornelio Fabro, il cardinal Bagnasco ha indicato al convegno il nuovo volto dell’ateismo nella frase: “Se Dio esiste, non c’entra”. Quanto sono atee anche le scelte che molti cristiani fanno ogni giorno?
“Sono le scelte che non mostrano con fatti di vangelo e di piena umanità che «con Dio o senza Dio tutto cambia». È la scelta della fede ridotta a stanca e monotona abitudine. E’ la scelta di una vita cristiana andata in automatico. È la scelta di un individualismo narcisista e autoreferenziale. È una vita mondana incolore, inodore e insapore. È la scelta del trinomio: «a me mi pare, e dunque così è vero», «a me mi piace, e dunque così è bello», «a me mi va, e dunque così è buono». Ma questa triste litania potrebbe continuare…”.

Solo pochi giorni dopo che si sono spenti gli ultimi echi del convegno di Firenze si sono uditi a Parigi i colpi dei Kalashnikov e delle cinture esplosive. Il rischio reale è che l’umanesimo cristiano sia travolto dalla cultura dell’odio e della vendetta. Cosa ci permetterà di resistere a quelle logiche?
“Resisteremo solo con una fede capace di amare e con un amore capace di sperare. Resisteremo se alla logica illogica del terrore risponderemo con la forza disarmata del coraggio. Se non perderemo il più elementare senso di umanità, e, se possibile, lo incrementeremo. Se non confonderemo misericordia con buonismo, non mescoleremo indignazione e violenza, se sapremo distinguere legittima difesa e rappresaglia. Se insieme ci renderemo conto che la risposta più seria e più efficace al terrorismo non è affatto il nostro triste e cinico nichilismo, espresso in uno slogan raggelante che da diversi anni ancora si legge su un muro laterale nei pressi della nostra università: Produci – Consuma – Crepa (!). Chiediamoci: che cosa sta offrendo ai nostri giovani la «cultura dello scarto», rigonfia di tutto e ripiena di niente?”.

Giovanni Tonelli