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Siria, insieme a chi continua a credere nella Pace

È ancora viva la forza della Veglia diocesana di digiuno e preghiera per la pace in Siria intorno al Vescovo di Rimini mons. Francesco Lambiasi, in Basilica Cattedrale. E non è solo un ricordo, ma qualcosa che tuttora stimola a non fermarsi, a non dimenticare, a fare, anzi, tutto ciò che è possibile per promuovere una cultura della pace.
La situazione gravissima che vive il popolo siriano ed in particolare la comunità cristiana, è sotto gli occhi di tutti. Per conoscere più da vicino la realtà della Siria e del Medio Oriente, di cui si sente parlare ogni giorno perché teatro di guerre, attentati, intolleranze, e per esprimere solidarietà e vicinanza a questi fratelli, la Commissione ecumenica diocesana, Consulta delle aggregazioni laicali, Progetto culturale diocesano hanno organizzato l’incontro “Siria: credere nella pace”, invitando il frate minore francescano Firas Lufti, siriano, della Custodia di Terrasanta; e il giornalista, collaboratore di Avvenire Andrea Avveduto, tornato da poco da Gerusalemme dove ha vissuto per anni.

La serata è cominciata con la visione di un breve documentario: scorrono immagini suggestive a memoria di una delle civiltà più nobili dell’antica Mesopotamia. Il commento musicale è affidato ad una composizione del 1300 ritrovata ad Ebla, con parole in lingua aramaica che parlano d’amore e di fede, di avventura e di speranza, a testimoniare come la Siria sia sempre stata ed ancor oggi è, nonostante tutto, un mosaico ricco di umanità.
Don Gioacchino Vaccarini ha introdotto l’incontro. In sala, fra i numerosi partecipanti, diversi siriani, alcuni dei quali di religione musulmana.
Quello della Siria – ha esordito Avveduto – è stato definito un dramma ancor più grande di quello del Ruanda. Da quando è cominciato, nel marzo 2011, se ne è parlato saltuariamente e quasi sempre con false notizie”. Un nodo cruciale per addentrarsi nel groviglio della sofferenza siriana è quello di capire come stanno fra loro le due correnti religiose islamiche “sunnita” e “sciita”: la prima rappresenta la maggioranza dei fedeli e si basa sull’autorevolezza della tradizione; la seconda, invece, fa riferimento esclusivamente a una discendenza di sangue dal profeta Maometto per il riconoscimento della leadership. Tutto il Medio Oriente è in maggioranza sunnita, con in testa l’Arabia Saudita che tiene le fila ed elargisce denaro. Però il Presidente siriano Asad è di fede alawita, ovvero appartiene a un gruppo religioso di stampo sciita, anche se governa un paese a maggioranza sunnita. Naturalmente la comunità internazionale non è fuori dal contesto e si riconosce con le posizioni della Russia o degli USA in un clima che, ha precisato Avveduto, ricorda non poco la guerra fredda. In mezzo, letteralmente in mezzo, a tutto questo sopravvive la piccola minoranza cristiana che raggiunge l’8%. I cristiani danno fastidio, sono perseguitati e uccisi; sono già stati cacciati dal nord, dove si è costituito un vero e proprio califfato; spesso sono rapiti e rilasciati solo dietro lauto riscatto o sono minacciati di morte se non si convertono all’Islam; e intanto la conferenza di pace di Ginevra è stata rimandata sine die, perchè manca l’interlocutore che rappresenta i cosiddetti ribelli.

Cosa possiamo fare noi? – è la chiosa di Avveduto – Aiutare i padri francescani che sono ogni giorno a fianco di tutta la popolazione siriana, non solo di quella cristiana. In questo tempo, paradossalmente, si è riscontrato un fiorire di vocazioni religiose; alla veglia del 7 settembre indetta da Papa Francesco, tutti sono usciti di casa sfidando le bombe, anche quelli che non vanno in chiesa ogni domenica. La pace non è tutto, perché anche nella pace si può star male: la guerra e la sofferenza hanno fatto riscoprire la forza della fede che rende possibile una vita diversa anche in ogni più buia circostanza”.

Sono cittadino siriano e, come francescano, cittadino del mondo”. Si è presentato così padre Firas, con un italiano quasi perfetto che sta imparando a Roma, dove studia Teologia Biblica alla Gregoriana. È giovane, molto diretto nel parlare e sereno, anche quando dice: “In Siria non c’è famiglia che non abbia pianto un morto o un ferito, che non abbia visto un pezzo della propria casa crollare sotto i colpi della guerra. Tutti gridano, sono nell’attesa nostalgica di una pace vera e duratura. I cristiani chiedono non solo di essere tollerati, ma di essere cittadini siriani a tutti gli effetti: abitano la terra che custodisce le fonti, le radici della loro fede. Ricordate san Paolo caduto da cavallo a Damasco?”. Alla fine del 2012 ha lasciato Roma ed è tornato ad Aleppo per assistere il padre che sta morendo non solo di cancro, ma per l’assenza di medicine. Sfida i bombardamenti per andare a celebrare il funerale di un sacerdote ucciso in montagna da un gruppo di uomini che aveva ospitato: otto colpi in pieno viso e il suo cagnolino con la testa mozzata abbandonato sull’altare. Ma la vita continua e chiede acqua, farina, zucchero che bisogna trovare bussando a tutte le porte, anche a quelle dei fratelli musulmani.

Lufti ha più volte ripetuto: “L’islam non è fondamentalismo”. La vita che continua soffre e geme: “La Siria è un patrimonio dell’umanità, i suoi bambini sono patrimonio dell’umanità. Io piango i bambini che non frequentano più la scuola, che non hanno futuro. Piango le famiglie che vendono le figlie di 13 anni ai ricchi paesi del Golfo per avere in cambio i soldi per sopravvivere. Piango questa realtà umana. C’è da salvare questa umanità e c’è da salvare la nostra fede”. Il francescano ha citato il brano di San Paolo, le membra e il corpo. “Siamo parte l’uno dell’altro, se una parte soffre tutto il corpo soffre. Questo ci ha ricordato Papa Francesco quando ci ha chiamati con un gesto semplice, quando si è chinato davanti a Dio ad implorare la pace”. Nemici di questa santa unità sono lo scetticismo, la negligenza, la dimenticanza. Si commuove ripensando all’esperienza vissuta a Lampedusa, dove si trovava proprio nei giorni degli sbarchi maledetti e dice: “Lampedusa è qui, la Siria è qui”.

Gli vengono rivolte domande incalzanti; si fermano a una decina, ma solo perché l’ora è tarda e in diversi gliele pongono quando l’incontro è già finito: riguardano il rapimento del padre gesuita Dall’Oglio, di cui nulla più si sa e su cui prevale il silenzio tanto è delicata la situazione; i corridoio per i profughi in Turchia e in Giodania dove a passare non sono solo le persone ma anche le armi e in direzione opposta; il Libano che già soffre una propria crisi ed accoglie 800.000 siriani in fuga; le similitudini con i tanti conflitti degli ultimi anni, non ultimo la Bosnia; il ruolo degli intellettuali; e Tertulliano con la citazione: “Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani” che padre Firas ha commentato con le parole di Gesù: “Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi”.
In molti, all’uscita, sottoscrivono l’appello per i cristiani perseguitati e altrettanti contribuiscono con un’offerta alla campagna lanciata da Avsi che, in Siria, sta portando avanti diversi progetti umanitari.

Rosanna Menghi