Oltre 522mila morti, più di 20mila bambini uccisi. La tragedia della guerra in Siria ci viene raccontata da numeri e immagini commoventi e drammatiche. Ma c’è un aspetto che i media hanno spesso taciuto in questi sette anni e mezzo di conflitto. È il ruolo della Chiesa e degli uomini e delle donne di Chiesa che sono rimasti al fianco dei siriani di ogni fede, anche a costo della vita, facendo il possibile e l’impossibile per venire incontro ai bisogni più urgenti della popolazione. Quella stessa Chiesa che non appena le armi hanno iniziato a tacere – sebbene purtroppo non in tutto il Paese – ha iniziato subito a pensare al futuro, a ricostruire, a sanare le ferite.
Quella Chiesa ha anche il volto di suor Annie Demerjian, religiosa dell’Ordine delle Sorelle di Gesù e Maria, che vive ad Aleppo. Un sorriso di una dolcezza disarmante e una serenità contagiosa celano la straordinaria forza di una donna che in questi anni di guerra è stato un vero angelo custode per i siriani, cristiani e non. Grazie agli aiuti ricevuti da organizzazioni quali Aiuto alla Chiesa che Soffre ha potuto offrire cibo, medicine, vestiti. Ha perfino noleggiato un’autocisterna per portare l’acqua alle famiglie nei lunghi mesi in cui ad Aleppo la fornitura idrica era stata interrotta dai ribelli. Ma soprattutto ha asciugato lacrime, ascoltato storie e sofferenze, offerto conforto e saputo infondere quella speranza e quella fiducia che in uno scenario come quello siriano soltanto una fede incrollabile può alimentare. «Abbiamo fatto l’unica cosa che potevamo fare: essere presenti, cercare di aiutare la gente, mettendo le nostre vite nelle mani di Dio», afferma raccontando quanto lei e decine di sacerdoti e religiose hanno fatto per la Siria.
Suor Annie, come avete vissuto in questi anni?
“È stato terribile, non sapevamo quando la nostra vita sarebbe finita, perché ovunque vi erano rischi e pericoli. Un luogo sembrava sicuro e poi all’improvviso cadeva una bomba. E poi l’atroce dolore per la perdita dei nostri cari. Potete immaginare cosa ha provato chi ha perso i propri figli, mogli, mariti. Ogni casa in Siria ha una storia ed una profonda ferita”.
Chi ha sofferto di più?
“Sicuramente i bambini che sono stati derubati della loro infanzia e adolescenza. Costretti a giocare in casa, dove alcuni si dilettavano perfino al macabro gioco di identificare un missile o una bomba semplicemente ascoltando i suoni dell’orrore in atto a pochi metri da loro. La vita li ha obbligati a crescere troppo in fretta, in mezzo alla violenza e al dolore per i familiari e i tanti amici perduti”.
Quale è stata la prova più difficile?
“Dire addio. In questi anni ho detto addio a tante persone. Alle migliaia di famiglie cristiane che hanno lasciato Aleppo. Alle persone care che ho perso sotto una pioggia di bombe”.
Qual è la situazione attuale?
“In molte aree i combattimenti sono finiti, ma ora è in atto una nuova battaglia. Quella per sopravvivere, per tornare alla vita. Ora dobbiamo sanare le ferite nel corpo e nell’anima. La situazione del sistema sanitario è disastrosa, più della metà degli ospedali e centri sanitari è distrutta, la gran parte dei medici e degli infermieri ha lasciato il Paese e non vi sono medicine. Facciamo del nostro meglio per assistere i malati e anche le tantissime famiglie bisognose. La situazione economica è disastrosa: non c’è lavoro e sono in molti a dipendere dai pacchi viveri che vengono distribuiti. E poi ci sono le innumerevoli ferite invisibili, i traumi psicologici”.
Cosa desidera dire ai cattolici italiani?
“Desidero ricordarvi che qui in Siria avete dei fratelli e delle sorelle che dipendono da voi, dal vostro aiuto e dalle vostre preghiere. Pregate per la pace in Siria e in tutto il Medio Oriente e mostrateci la vostra vicinanza anche attraverso il sostegno concreto. È vitale, soprattutto per tutti quei cristiani che dopo aver sofferto la guerra oggi patiscono la miseria. Se nessuno li aiuterà, temo che dovrò dire addio a tante altre famiglie”.