Andrea Falzaresi gestisce, sotto il marchio Club Family Hotel, ben dodici alberghi, nella fascia che va da Cervia a Riccione. E proprio nella Perla Verde è in procinto di riaprire ‘Le Conchiglie’, al confine con Miramare. Chi meglio di lui può illustrarci il momento vissuto dal turismo della Riviera?
Lo abbiamo scritto nel nostro Editoriale, a fine 2023, in provincia di Rimini, mancavano un milione e mezzo di pernottamenti. Almeno per tornare ai livelli pre Covid. Si sperava che il 2024 portasse in dote qualche numero più positivo. Invece, nulla. E secondo il ‘Rapporto Coop 2024’, le cose potrebbe anche peggiorare. Per capire il momento che sta vivendo il nostro turismo e cosa dovrebbe fare, abbiamo chiesto a chi vive di presenze e pernottamenti di illustrarci la situazione. E chi meglio di Andrea Falzaresi che con il marchio Club Family Hotel gestisce ben dodici alberghi, da Cervia a Riccione, ed è in procinto di aggiungere alla lista anche Le Conchiglie, sul lungomare della Perla Verde.
Falzaresi, nel 2024 avremmo dovuto recuperare quanto ancora mancava (più di un milione di presenze) per riportare la Riviera di Rimini sul livello pre Covid, invece siamo, se tutto procederà bene, ai livelli dell’anno scorso. Conferma?
“ Sicuramente è una stagione fatta di luci e ombre. Non siamo tornati ai livelli pre pandemia perché si è sentita la crisi del ceto medio che ha perso potere d’acquisto. Di conseguenza, noi che viviamo del ceto medio, abbiamo subìto dei contraccolpi. Anche altre località hanno incontrato queste difficoltà.
Non siamo gli unici. Poi noi abbiamo un’altra particolarità: abbiamo una crisi di prodotto. Un prodotto che risale agli anni Settanta. Qui veramente bisogna mettersi a sedere intorno ad un tavolo, pubblico e privato, e cercare delle soluzioni.
Il privato deve dare la vision e il pubblico la deve seguire”.
In questi cinquant’anni, secondo lei, come è stato possibile che nessuno si sia accorto del mondo che cambiava?
“ Purtroppo non abbiamo avuto la capacità di seguire le nuove tendenze. Faccio un esempio molto semplice e prendo come riferimento Ibiza: negli anni Ottanta ha copiato il nostro modo di fare turismo.
Ma adesso sta tornando indietro.
Non si fa più il casino fino l’una o le due di notte.
Non si fa più mattina.
A mezzanotte bisogna spegnere tutto, altrimenti arrivano i controlli. Completamente un altro tipo di turismo. Noi, invece, non abbiamo avuto la capacità di reinventarci. Dobbiamo imparare ad ascoltare il turista e chiedergli cosa vuole. Dobbiamo ascoltare le sue esigenze e costruire il prodotto che chiede. Il turista non vuole più il divertimentificio. Magari lo facciamo nelle aree laterali, fuori dalle città.
Alcuni clienti della Marina scappano via. Mi chiedono di cambiare hotel in località più tranquille. E poi il turista vuole sentirsi sicuro, vuole passeggiare senza il rischio di essere rapinato, borseggiato o scippato. Un prodotto del genere non va bene per le famiglie e per il cliente che ha capacità di spesa. E se mandiamo via questi clienti non ne risentiamo solo noi, ma anche il commercio. E così resteranno aperti solo i negozi di cianfrusaglie dove si spendono poche decine di euro”.
Nemmeno il Parco del Mare, che sicuramente ha cambiato la cartolina del lungomare, è riuscito ad innescare un rinnovamento del commercio nella zona balneare. Secondo lei, perché?
“Ci sono località come Forte dei Marmi, dove certi alberghi sono più brutti dei nostri, ma hanno negozi al top, sono zone sicure e la gente ci va.
Il cliente prima sceglie la destinazione poi l’hotel, non è viceversa. È la destinazione che deve attrarre”.
Falzaresi, lei è un imprenditore locale che investe. Ma perché altri investitori nazionali, ed esteri, non vengono a Rimini e magari scelgono altre località?
“Perché in altre località ci sono marginalità (guadagni) maggiori. Qui hanno una marginalità del 10%, là del 30%, perché lavorano con una clientela diversa. Le cito un caso: un giorno ero a Forte dei Marmi, prendo un taxi e spendo una bella cifra, lo faccio notare al taxista che mi risponde: Qui il cliente più spende più è felice.
Vieni a dirlo a noi! Occorre che ciascuna località, con annessi hotel, si specializzi in un segmento di mercato. Oggi il generalista non ha più successo. È la specializzazione che vince”.
Quindi bisogna creare aree specializzate?
“Certo! Ci vogliono zone dove fare i concerti. Per le famiglie zone con giochi gonfiabili, giochi d’acqua e altro. Ogni cinque chilometri una zona con specializzazione diversa,
per un pubblico diverso. Questo sarebbe l’ideale”.
Il cliente tipo della sua catena è la famiglia medio-alto spendente.
Questa non ha subìto i contraccolpi della crisi?
“Meno degli altri. Anche perché il nostro è un prodotto unico (offriamo trenta diversi servizi) ed è difficile trovarne uno uguale in Italia”.
Presenze straniere nei suoi hotel?
“Circa il 10%. Dipende anche dal fatto che lo straniero vuole essere coccolato, anche nella sua lingua, e noi che già facciamo fatica a trovare personale, se chiediamo una buona conoscenza delle lingue, l’offerta si riduce ulteriormente. Il personale ideale dovrebbe parlare fluidamente, dal cameriere al dirigente, almeno due o tre lingue”.
Senta, i suoi colleghi lamentano di non trovare personale. È proprio così difficile?
“La verità è che ci sono mansioni come, per esempio, la pulizia delle camere, che gli italiani non vogliono
più fare, quindi, per forza, ti devi rivolgere a personale straniero. Però nelle mie sale il personale è tutto italiano. Certo, devi dargli il giorno libero, alloggi confortevoli e altro.
Nel mio gruppo d’estate lavorano 600 persone. Le figure apicali tornano tutti gli anni, per i camerieri il ricambio è circa la metà”.
Posso farle una domanda, diciamo così, ‘locale’?
“Prego”
Quanti sono i romagnoli tra queste 600 persone?
“Una cinquantina. Meno del 10%”.