Dieci anni di coma vegetativo. Lì, fermo su quel lettino. Senza dire una parola, senza muovere un muscolo. Con i medici che avevano detto a mamma Lucrezia e papà Ernesto che per il loro Massimiliano non c’era più nulla da fare. Ma loro sono andati avanti, sospinti da una fede forte, incrollabile. Gli hanno staccato il sondino e lo hanno portato a casa, nella loro casa. Finché un giorno, Massimiliano, si è risvegliato.
Di questa meravigliosa storia se ne è parlato venerdì 15 ottobre al teatro Concordia di Borgo Maggiore dove si è svolto un incontro dal titolo Grande in noi è la vita, organizzato dall’Ufficio per la Pastorale Giovanile della Diocesi di San Marino-Montefeltro, con il patrocinio della Segreteria di Stato per la Sanità e Sicurezza Sociale e di quella per l’Istruzione, la Cultura, l’Università e le Politiche Giovanili.
Protagonista della serata Massimiliano Tresoldi, un ragazzo come tanti, se non fosse per quel terribile incidente d’auto che lo ridusse in fin di vita il 15 agosto 1991, cinque mesi prima di Eluana Englaro. Ma questa storia, come dicevamo, ha un finale diverso da quella tristemente nota di Eluana. Presenti all’incontro, oltre alla famiglia Tresoldi, anche il giornalista di «Avvenire» Pino Ciociola, autore insieme a Lucia Bellaspiga del libro Eluana. I fatti, per farsi un’opinione, il cui ultimo capitolo è dedicato proprio a Massimiliano.
In un teatro pienissimo di giovani, stipati fin sulle gradinate, Massimiliano ha voluto dare la sua testimonianza di vita e ha voluto che fosse letto un suo pensiero: “Credete in voi e state sempre attenti, Max”.
Ed è con queste parole salutate da applausi fragorosi, che si è aperta la serata che arricchiva la visita pastorale del vescovo, monsignor Luigi Negri nelle parrocchie sammarinesi.
La mamma di Massimiliano, Lucrezia, ha raccontato con precisione i fatti.
“L’incidente è stato gravissimo, i medici lo davano per spacciato, dicevano che non ce l’avrebbe fatta. Una settimana dopo è arrivato il primo segno di speranza: Massimiliano riusciva a respirare da solo. Dopo un mese e mezzo di terapia intensiva e cinque mesi in un altro ospedale, però, il suo stato era peggiorato”.
I medici cercavano di convincere i genitori della morte cerebrale di Massimiliano usando espressioni come «centralina elettrica senza fili» o «un albero secco in mezzo a un prato fiorito».
Ma Lucrezia non riusciva a crederci e, sull’onda dell’esperienza di un’altra famiglia che si era trovata in una situazione simile, ha deciso contro ogni parere medico, di staccare il figlio dal sondino che lo alimentava e di portarlo nella loro casa vicino a Milano dicendosi «Se Dio vuole, vivrà».
“I primi tempi sono stati duri, Massimiliano aveva la febbre e le piaghe da decubito ma quel giorno che l’abbiamo portato a casa – racconta Lucrezia – prima della fine della giornata a me sembrava già più sereno”.
Andava alimentato col cucchiaino e accudito giorno e notte, col pericolo sempre in agguato delle broncopolmoniti. Il pneumologo, il fratello, la sorella, gli amici si sono stretti intorno a Massimiliano, ma non con pietismo.
“Noi non l’abbiamo mai trattato come un malato ma come una persona normale, io sapevo che lui sentiva tutto!”.
Nel 1992 si è reso necessario un programma di fisioterapia serrato: i soldi cominciavano a mancare e Lucrezia pensò di coinvolgere amici e parenti che, a turni di 5 persone al mattino e 5 al pomeriggio, dal lunedi alla domenica, facevano svolgere gli esercizi a Massimiliano.
“Abbiamo fatto partecipare tutti dai 17 agli 80 anni. È a loro che è dovuta la rinascita di Massimiliano”.
Un giorno, dopo circa otto anni, arriva sul viso attonito del figlio un sorriso, è la felicità di tutti ma i medici dicono di non illudersi, che non c’è intenzione dietro quello spasmo muscolare.
A Natale del 1999, invece, il risveglio. Lucrezia piangeva la morte del padre scomparso da poco e, mettendo a letto Massimiliano, sfinita, gli disse che quella sera non avrebbe detto le preghiere con lui. Massimiliano allora si fece il segno della croce, mandò un bacio alla Madonna e abbracciò forte la mamma. Poco dopo, Massimiliano avrebbe ripetuto gli stessi gesti con il papà Ernesto.
Lucrezia, sopraffatta dall’emozione, ancora oggi non sa descrivere la gioia di quel momento.
“Il primo gesto volontario dopo 10 anni di coma vegetativo ha aperto la strada a una marea di altri piccoli progressi che giorno dopo giorno Massimiliano continua a fare con il nostro aiuto e con quello dei parenti e degli amici”.
Il papà Ernesto non si vergogna a dire che lui era più scettico all’inizio rispetto alla moglie e che un anno dopo aver portato a casa il figlio è andato in crisi. È stato grazie alla tenacia della moglie “che marcia come un panzer” e all’educazione ricevuta dai genitori al rispetto per la vita se è riuscito ad accompagnare suo figlio alla rinascita. Oggi ogni progresso è una vittoria: Massimiliano ha cominciato a comunicare usando il braccio destro, poi a farsi capire attraverso il linguaggio muto e ora è tornato a disegnare (era un grafico) con il sostegno di un’arteterapeuta che si commuove di fronte ai ringraziamenti di Ernesto. Che in lui ci fosse vita anche quando i medici lo definivano “una centralina senza fili” lo sappiamo dal racconto che lui stesso ha fatto di quanto accadeva intorno a lui in quegli anni bui. Addirittura, un fatto sorprendente: Massimiliano si è addormentato mentre era ancora in vigore la lira ma al risveglio conosceva perfettamente gli euro e sapeva la conversione con le lire!
Innegabile l’apporto degli amici, alcuni dei quali hanno accompagnato Massimiliano anche sul Titano. Marco spiega tutto il suo contributo in poche parole: “Coltivare l’amicizia è la cosa più grande che ci sia”. Gianluca è ancora sorpreso di fronte alla rinascita del suo migliore amico: “Sono testimone di una cosa grande. Mi ha sempre colpito la certezza della mamma che prima o poi si sarebbe svegliato. La mia per Massimiliano è un’amicizia che va ben oltre le circostanze del momento”.
Il percorso della rinascita è ancora lungo, Massimiliano deve riprendere a camminare e a parlare. Ora che ha ripreso a masticare, ad esempio, dovrà sottoporsi a un costosissimo intervento ai denti. Per far fronte a questa e tante altre necessità economiche che l’assistenza sanitaria pubblica non arriva a coprire, proprio gli amici hanno istituito il «Comitato Amici di Max-onlus»: chi vuole li trova su Facebook e può fare una donazione per aiutare la famiglia Tresoldi a continuare il percorso della rinascita (BCC di Carugate – Filiale di Carugate,
codice IBAN: IT95 V0845332760000000104011).
Concludiamo con le parole del Vescovo di San Marino-Montefeltro, Mons. Luigi Negri, che ha ricordato ai giovani che “La nostra vita, come dice Giovanni Paolo II, è un confronto duro tra cultura della vita e della morte. Quest’ultima ci sovrasta, viviamo in una marea di nulla, assistiamo alla banalizzazione della vita, che non si realizza nella responsabilità” e che “non si vince l’ideologia del nulla con un’altra ideologia ma con una vita che si prende responsabilità e vince con la carità. Stasera avete visto la carità e che c’è chi vive la carità come Cristo. Stasera abbiamo visto Dio. La cosa peggiore che possiate fare a voi stessi è dimenticare questo incontro”.
Romina Balducci