È vietato digiunare di domenica? E nei giorni festivi?
Risponde mons. Gilberto Aranci, vicepreside della Facoltà Teologica dell’Italia centrale
La domanda così posta non può che avere una risposta negativa. Nel senso almeno che non esiste un divieto esplicito da parte della Chiesa di digiunare nei giorni di domenica; al contrario, il digiuno lo ha richiesto e lo richiede in determinati giorni dell’anno liturgico. Tuttavia questo interrogativo permette di chiarire il significato che questa prassi penitenziale, ossia la rinuncia al cibo, ha per la vita del cristiano.
Riferimento principale è senz’altro il digiuno di Gesù e la sua risposta alla prima tentazione: non di solo pane vivrà l’uomo. Dopo essere stato battezzato e prima di iniziare la sua missione egli digiuna per quaranta giorni nel deserto (Mt 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13). Il digiuno di Gesù è modellato sul duplice esempio di Mosè (Es 34,28) e di Elia (1Re 19,8): spinto dallo Spirito fa il digiuno per inaugurare la sua missione salvifica come atto di abbandono fiducioso nel Padre (Mt 4,1-4).
Gesù peraltro non prescrive nessuna pratica di digiuno ai suoi discepoli (Mc 2,18). Certamente non lo vuole disprezzare o abolire(Mt 5,17), ma vieta esplicitamente l’ostentazione del digiuno, che non deve essere fatto «per essere visti dagli uomini» (Mt 6,16-20). Gesù insiste molto di più sul distacco nei confronti delle ricchezze (Mt 19,21), sulla continenza volontaria (Mt 19,12), e, soprattutto, sulla rinuncia a se stessi per portare la croce (Mc 8,34). Già i profeti avevano denunciato il formalismo esteriore nel praticare il digiuno (Ger 14,12): per essere gradito a Dio, il vero digiuno deve essere strettamente unito alla carità verso il prossimo e alla ricerca della vera giustizia (Is 58,2-11): non può essere separato né dall’elemosina né dalla preghiera.
Nel contesto biblico infatti privarsi del cibo, che è considerato un dono di Dio (Dt 8,3), è un atto religioso e una maniera di porsi davanti al Signore (Dn 9,3; Esd 8,21). Il digiuno accompagnato dalla preghiera esprime la propria condizione umile davanti a JHWH: digiunare equivale ad «umiliare la propria anima» come è scritto nel libro del Levitico (Lev 16,29-31). La liturgia giudaica conosceva il «grande digiuno» nel Giorno dell’Espiazione (yom kippur) e la sua pratica era un segno dell’appartenenza al popolo di Dio (Lev 23,29).
La prassi giudaica nel tempo di Gesù era di tipo religioso: così la pratica del digiuno dei discepoli di Giovanni Battista e i farisei (Mc 2,18), alcuni dei quali digiunavano due volte la settimana (Lc 18,12). E la Chiesa apostolica conservò per il digiuno le usanze del giudaismo da compiersi però nello spirito voluto da Gesù.
A partire dal II secolo in preparazione della Pasqua si dovevano osservare due giorni di digiuno. Poi nel IV secolo, quando il Cristianesimo fu riconosciuto come religione ufficiale dell’Impero, la pratica del digiuno si legò sempre più al concetto di opere meritorie e a forme di legalismo. Verso il X secolo si affermò in Occidente l’obbligo del digiuno della Quaresima e furono stabiliti anche dei giorni obbligatori di digiuno. Ad esempio, nei riti stagionali delle Quattro Tempora erano giorni di digiuno il mercoledì, il venerdì e il sabato seguenti la prima domenica di Quaresima, la Pentecoste e la festa dell’Esaltazione della Santa Croce (14 settembre); una quarta stagione di digiuno decorreva dal 13 dicembre a Natale.
La Chiesa mantenne questa prassi fino al Concilio Vaticano II. Fu Paolo VI che con la Costituzione apostolica Paenitemini (17 febbraio 1966) introdusse una nuova pratica del digiuno limitandolo a due giorni dell’anno: il mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo.
Attualmente in Italia la Conferenza Episcopale ha dato queste norme che regolano le pratiche penitenziali del digiuno insieme all’astinenza dalle carni: la legge del digiuno obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po’ di cibo al mattino e alla sera. Alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni sino al 60° anno iniziato; alla legge dell’astinenza coloro che hanno compiuto il 14° anno di età; l’acqua, a differenza della prassi preconciliare, non rompe più il digiuno.
Come si vede la disciplina della Chiesa è quindi molto attenta alla persona ed è sobria sia nei contenuti sia nel tipo di obbligo che impone. Le consuetudini attuali vedono la pratica del digiuno associata all’amore del prossimo, in particolare alla carità verso i più bisognosi. È comune infatti, specialmente nel tempo quaresimale, la pratica di incontrarsi per consumare pasti frugali dando poi il denaro corrispondente al costo del pranzo intero per opere di carità.
Comunque è sempre da tener presente che l’obbligo della legge del digiuno poggia su motivazioni soprannaturali: deve essere espressione volontaria e libera di mortificazione o di penitenza o di ascesi, e sempre praticato con spirito di preghiera, di amore a Dio e al prossimo.
Come conclusione mi piace riportare queste significative parole: «Il digiuno è sempre simbolico, è una purificazione… i nostri cinque sensi ingurgitano tutto, si tratta di digerire e creare uno spazio di interiorità, di trovare in sé la propria libertà interiore, di non divorare ma entrare in una relazione corretta e libera con le cose e con gli altri: ciascuno decide in coscienza ciò da cui astenersi, le cose che lo rendono schiavo o con le quali rende schiavi gli altri». In questo senso e al di là degli obblighi e dei divieti, ritornando alla domanda da cui siamo partiti, non solo si può ma anche si deve digiunare la domenica, se il digiuno è astenersi da ciò che ci rende schiavi.