L’erba del vicino è sempre un po’ più verde, dice un noto detto. Non per Rimini che nel campo dell’agroalimentare ha poco da invidiare ai suoi vicini o presunti concorrenti. Qui, in provincia la produzione locale di frutta e verdura occupa il 35% dei volumi totali, ovvero con la coltivazione in loco non solo si riesce a “sfamare” gli abitanti della provincia, ma anche tutto il resto della regione, con un aumento del 55% durante la stagione estiva.
L’indagine di mercato
Una panoramica di ampio respiro è stata presentata durante il secondo appuntamento del Caar (Centro Agro Alimentare Riminese) nella Ricerca di mercato che ha analizzato consumi, distribuzione, produzione, innovazione e prezzi del Caar all’interno del contesto economico regionale. A districarsi tra i tanti numeri sono stati il ricercatore Silvio Crociati e Dario Caccamisi, direttore del centro studi e ricerche dell’ANDMI (Associazione dei Direttori di Mercati all’ingrosso).
“Considerando la crisi del settore, il Caar sta reagendo piuttosto bene. Due sono le ragioni fondamentali: Rimini è una città a vocazione turistica e d’estate la distribuzione cresce; inoltre qui c’è un buon 50% della produzione ortofrutticola di origine locale”, spiega Mirco Pari presidente del Caar.
La produzione locale può dirsi un’isola felice nel panorama della crisi dei consumi. Il calo vede in vetta alla classifica la lattuga, che rappresenta oltre il 50% della produzione regionale, pari a 221mila quintali che riforniscono l’intera Emilia Romagna. Tra le orticole seguono i finocchi con un buon 20%, le melanzane 16%, i sedani 15% e i peperoni 14%.
“Una produzione non solo fatta di numeri ma di qualità, visto l’alto numero di piccoli produttori è in grado di garantire il riciclo della merce, la freschezza ecc… ”, sottolinea Valter Vannucci direttore del Caar. Infatti i prodotti che giungono giornalmente sono per l’80% di origine italiana e solo il 20% proviene dall’estero, basta tenere conto della frutta come banane, ananas ecc… .
In estate, il 35% della produzione locale sfiora il 55%. Un dato che non desta clamori visti i 15 milioni di presenze turistiche e le 2577 strutture ricettive che da giugno a settembre si mettono in moto per l’intera estate.
La forza della capillarità
“La peculiarità della nostra distribuzione ortofrutticola è la capillarità intesa come efficienza nell’offrire servizi, e quindi copertura in tutte le aree della provincia”. Nonostante la grande distribuzione eroda ogni anno l’1,5% del mercato a livello nazionale, Rimini resiste con i rivenditori al dettaglio e gli ambulanti. Quest’ultimi, in particolare, i frequentatori più assidui del Caar: gli stessi mangiano la fetta più grande con il 62,5%, “connotano quella che è la realtà riminese e di conseguenza confermano la fiducia dei consumatori nei confronti del dettaglio tradizionale”, puntualizza Valter Vannucci. Segue l’ingrosso con il 28,5% e l’Horeca con il 7%. “La grande distribuzione è una realtà importante che spesso però entra in conflitto con il mercato al dettaglio” ricorda Mirco Pari. Ma pare che ai riminesi poco importi visto che la ricerca condotta evidenzia come il consumatore locale sia fortemente fidelizzato alle produzioni del territorio; mentre il dettaglio riesce ad affermarsi per qualità, freschezza e vendita assistita.
Qui, conta la fedeltà
Ma da dove vengono i clienti più affezionati al Caar? Non stupisce una massiccia presenza di lavoratori del riminese (oltre il 66%) mentre un buon 17% arriva dalla vicina Pesaro. Il restante ha origini cesenati o ravennati.
Negli oltre 500 mercati annuali del Caar (solitamente mattino e pomeriggio) la frequenza d’acquisto raggiunge il 50%. Molti venditori vanno dunque tutti i giorni al Caar. Gli acquirenti sono “di piccola taglia” e quindi hanno poca capacità di stoccaggio, di spazio ma nella loro assiduità sono garanzia di freschezza.
“Un’annata mediocre”
Paola Pula della Confederazione Italiana Agricoltori di Rimini, non ha dubbi: “È stata un’annata mediocre”. Nonostante i dati incoraggianti del Caar la situazione degli agricoltori della provincia “non è delle peggiori ma solo perché c’è chi sta peggio di noi”, incalza la Pula.
A decretare un quadro non proprio felice sono i prezzi dei prodotti, fin troppo modesti, contro costi che aumentano un giorno dopo l’altro. “È sempre bene ricordare che anche tra gli agricoltori ci sono settori che annaspano più di altri come chi produce uva da vino o chi produce cereali”.
Ma se la contrazione del mercato ortofrutticolo non ha lasciato respiro, è anche vero che il 2010 è stato un anno di ripresa rispetto al 2009 “che sotto ogni punto di vista è da annoverare tra le annate più nere”.
Marzia Caserio