Tra le famiglie che non spendono più tanto e l’apertura dei centri commerciali in periferia, sono molti i negozianti dei centri storici italiani che dicono di non farcela più. E quelli di Rimini non sono da meno. Di fronte ai giganti dello shopping all’americana (li chiamano mall, “strade coperte” dove non piove mai, non fa mai caldo e il posto auto è garantito… e gratuito) sembra impossibile rimanere a galla. Ora che anche il mercato cittadino di Piazza Malatesta, a Rimini, è in dissesto, il baricentro delle compere potrebbe spostarsi sempre più verso la Statale Adriatica. Ma al di là di essa, è davvero tutto oro ciò che luccica? Abbiamo fatto un giro tra i punti vendita delle Befane per sondare gli umori.
“Dipendiamo dal meteo”, precisano Federica e Viola che lavorano in una bigiotteria del centro commerciale. “Rispetto all’anno scorso c’è meno giro. L’estate del 2014 è stata molto piovosa”. Si cerca rifugio in questo caravanserraglio per dare un senso ad una giornata estiva nuvolosa o per stare al fresco quando è troppo caldo. Ma non è detto che si metta mano al portafoglio: “Molti vengono solo per farsi un giro. Spesso non hanno le buste della spesa in mano”.
Negli anni, il punto più critico per i lavoratori del centro commerciale sono stati i lunghi turni di lavoro, che tra l’altro costringono i direttori a spendere di più nel personale. “Tutti sanno che tra le 21 e le 22 ci sono pochi clienti, però si rimani aperti comunque. – proseguono le due – In quell’ora si spende forse di più in bollette di quanto si incassi”. Il negozio in cui lavorano, come la stragrande maggioranza di quelli presenti, appartiene ad una catena monomarca. I costi per gli affitti sono così alti che solo i grandi gruppi possono farvi fronte. “Dai 5 mila euro in su al mese a seconda della zona. Non so come facciano a permetterselo i piccoli privati”.
Tra questi c’è la lavanderia al piano superiore il cui proprietario alza le braccia, “Vorrei vendere tutto, ma non si trovano compratori. Siamo rimasti solo due artigiani qua dentro. Ho altri punti vendita in città dove l’affluenza è minore, però qua ogni anno devo sborsare 80mila euro alla direzione del centro commerciare tra affitto e utenze per i miei 100 metri quadrati di attività. Ho fatto presente che si tratta di un carico eccessivo, ma…”. Il problema vero, però, è la crisi dei consumi: “Chi prima portava dieci capi da lavare, ora ne porta cinque”.
Le Befane hanno tolto il lavoro al centro storico? I grandi contenitori dello shopping suburbano rendono davvero deserti i vicoli delle città? “Secondo me, no”, afferma una negoziante che all’interno della struttura vende prodotti per il corpo. Se in città si va per spizzicare un po’ in quel negozio, un po’ nell’altro da negozianti che ci conoscono per nome, nei reami della grande distribuzione dove tutto è più grande e in maggiore quantità, le borse portate a mano sono sostituite da un capiente carrello che chiede di essere riempito. “Si tratta di diverse abitudini di acquisto. Chi lavora in centro o ha lì il proprio negoziante di fiducia e preferisce il rapporto più diretto con le piccole botteghe, non perde facilmente le proprie abitudini. Invece da noi viene chi preferisce una soluzione più funzionale e non vuole perdere tempo nel cercare parcheggio”.
La competizione si gioca anche sul filo dell’occupazione. “Questo centro commerciale è servito a creare nuovi posti di lavoro. – prosegue – Ci sono molti giovani che probabilmente il centro storico non sarebbe riuscito ad assorbirli come forza lavoro”. Resta da vedere quanti di loro siano stati sottratti alla città o ad altri centri commerciali. Alla negoziante non resta infine che constatare: “I punti vendita della città non hanno modificato le proprie abitudini per restare al passo della concorrenza. Continuano a rimanere chiusi in pausa pranzo, hanno i loro giorni di riposo e alle 19.30 abbassano la saracinesca. Che gli vada bene così?”.
Mirco Paganelli