Bangladesh, Libia, Lampedusa, Rimini. La rotta verso il futuro di migliaia di persone che abbiamo visto arrivare dal mare. Immagini che non ci sembravano nemmeno vere, tanto erano surreali. E invece, davvero queste persone si sono imbarcate sfidando la paura e il pianto delle madri e dei padri, dei fratelli e delle sorelle. Unico bagaglio, la speranza.
Avevamo incontrato Nassir l’estate scorsa, il 21 giugno, in occasione della giornata del rifugiato, in piazza Cavour. Cercava un lavoro, come tanti suoi connazionali e compagni di sventura, che a Rimini sono arrivati per sfuggire dall’orrore della guerra.
Lo abbiamo rincontrato oggi. Dopo aver partecipato al corso per tuttofare in alberghi e ristoranti gestito da Irecoop, rivolto a 20 profughi, da qualche mese lavora al Grand Hotel di Rimini.
“Faccio il facchino – ci dice Nassir che in questi mesi ha migliorato moltissimo il suo italiano – il corso è stato molto utile ho imparato tante cose che prima non sapevo. Ho imparato, per esempio a dare del Lei , a lavare tutti i giorni i vestiti, ad essere sempre bello profumato per parlare con la gente e chiedere: Posso aiutarla con la sua valigia? – ci dice, sottolineando che ha imparato bene a dare del Lei .
E aggiunge, con una punta d’orgoglio: “Il Grand Hotel è molto famoso”.
Grazie al progetto Formazione senza frontiere finanziato dalla Provincia e realizzato grazie ad Enaip, Cesvip e Irecoop, sei dei venti profughi che hanno partecipato al corso di 60 ore di teoria e 190 di stage, hanno trovato un lavoro stabile. Ai ristoranti La Marianna , Lo Zio , Nud e Crud , al Grand Hotel di Rimini, Hotel Royal Cattolica (1 assunzione), Dory Hotel (1 contratto di lavoro) Conad Rimini centro, conad Superstore, Cooperativa Akkanto, Hotel Promenade, ristorante la Cappa, Conad Misano Adriatico, Hotel Duomo.
Oltre all’inaspettato risultato occupazionale (visto il periodo), le aziende che hanno accolto in stage sono state particolarmente sensibili, in quanto molti dei profughi, al loro arrivo, parlavano appena in italiano, molti sono analfabeti.
Shagor, 20 anni. Dalla Libia a Lampedusa è arrivato ancora minorenne, su una barca con 700 persone a bordo. Era solo. In Bangladesh ha tutta la famiglia: padre, madre fratello e sorella. Tra tre mesi sono due anni che è in Italia, ci racconta mentre prepara la crema, all’osteria Il mare in piazza a due passi da piazza Cavour, dove lavora in cucina ed è specializzato in dolci.
“Sulla barca eravamo 80 bengalesi e tutto il resto africani. – Shagor parla bene l’italiano rispetto a tanti suoi connazionali, e comunque si fa capire – Sono arrivato in Sicilia, a Lampedusa, e poi sono venuto qui”.
Come va qui con i colleghi?
“Sono tutti molto bravi con me. Qui, se sbaglio, nessuno urla, come facevano quando lavoravo in Sicilia. Qui mi spiegano bene come si fa e io ascolto e poi faccio. Adesso sto facendo la crema”.
Osservare Shagor che mescola la sua crema nella ciotola con il cucchiaio di legno, è edificante. Quanta cura nei movimenti e anche nello sguardo, talmente dolce che potrebbe anche non metterci lo zucchero in quel composto giallo che profuma di uova fresche.
Da quando lavori qui in Italia, com’è la tua vita?
“Io sono venuto qui per cambiare la mia vita. Per migliorarla. Ed è quello che sto facendo. Sono felice”.
Accanto a Shagor c’è Sergio, il cuoco, che armeggia in cucina.
Com’è Shagor? Gli chiediamo.
“È un ragazzo molto bravo, ascolta, impara in fretta e lavora bene. Con tutto quello che ha passato per arrivare fino a qui, gli auguro di realizzare tutti i suoi sogni perché se lo merita”.
Poi c’è Paola, la titolare. “È un ragazzo che si sa far voler bene. Poi è bravo. Si sta specializzando nei dolci. L’altro giorno gli ho insegnato a fare il tiramisù, io sono partita, poi lui è andato avanti da solo. È venuto buonissimo”.
Paola ha un passato da insegnante di italiano al Cairo, in Egitto, dove ha vissuto per otto anni. Per lei, la ricchezza della multiculturalità non è solo una bella frase da dire nelle occasioni giuste per sembrare tolleranti. È un’azione da compiere.
“Siamo contenti che resti qui con noi. Mi dispiace solo che la sua dieta sia un po’ monotona. Shagor infatti non mangia la carne che noi serviamo, perché è un musulmano molto ligio ai suoi doveri di fedele. Quindi mangia tutti i giorni la pasta e qualche volta il pesce, quello gli piace”.
Purtroppo, per i quattordici profughi arrivati a Rimini che hanno frequentato lo stesso corso, nonostante il buon esito dello stage, il futuro è ancora incerto.
“Loro se ne andranno – ci dice Claudia Gugnelli del Coordinamento per la Formazione Irecoop – purtroppo non possiamo fare altro. Hanno deciso che cercheranno altrove la loro fortuna perché si sono resi conto che qui in Italia questo è un momento molto difficile”. Come dargli torto. Sono una trentina i profughi che hanno paura di finire in mezzo ad una strada nonostante la proroga di due mesi sul rimpatrio alla scadenza del piano d’accoglienza.
Shagor tira fuori la crema dal forno e sorride.
È morbida e profumata, proprio come doveva essere.
Lucia Renati