Gli amici che ha ritrovato a Sogliano e con i quali non rinuncia a una partita a briscola anche fino a notte inoltrata, le mura della sua casa all’ingresso del paese e i gusti romagnoli dei quali certo non si è dimenticato, rendono allegro e piacevole il suo breve periodo (di solito quindici giorni) di vacanza. Monsignor Pietro Sambi, 72 anni compiuti lo scorso 27 giugno, dal dicembre 2005, in seguito alla nomina di Benedetto XVI, è oggi Nunzio Apostolico negli Stati Uniti, ma non dimentica di essere romagnolo doc.
Lo incontriamo nella “sua” Sogliano insieme ad alcuni amici del club Serra (un movimento laico che ha lo scopo di favorire la conoscenza del cattolicesimo e la sua diffusione, con particolare attenzione alle vocazioni sacerdotali).
Nella Messa che mons. Sambi celebra con loro fa proprio riferimento al tema delle vocazioni: “Non bisogna perdersi d’animo – dice nell’omelia- nel pregare per le vocazioni. Nonostante tutti i problemi che conosciamo, le vocazioni negli USA sono in crescita in tutte le diocesi, non solo in numero ma anche in qualità. Sono tre gli elementi importanti nella vocazione: l’interesse e l’impegno personale del vescovo ed il fatto che egli deleghi l’ambito vocazionale a validi collaboratori di cui si possa fidare; in secondo luogo, il sacerdote incaricato della vocazione deve essere fra i più stimati nella diocesi; ed infine, dev’essere chiaro per tutti che il vescovo, i preti e i fedeli vogliano un futuro di sacerdoti migliori, più centrati nella loro missione, nel loro amore per Cristo e nel loro servizio ai fedeli. Mai nella storia della Chiesa il Signore ha fatto mancare i suoi ministri. Dobbiamo riprendere fiducia nella preghiera per le vocazioni: chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto, pregate il Signore della messe perché mandi molti operai nella sua messe. Forse, mai come oggi, c’è confusione, c’è delusione, c’è ricerca di verità, ricerca di pace interiore. Abbiamo bisogno di preti che siano veramente innamorati di Cristo e a suo totale servizio”.
Tanti battesimi di adulti
Disponibile come sempre, dopo la liturgia, si è messo a nostra disposizione per un’intervista sul suo impegno pastorale negli States.
Monsignor Sambi, come rispondono i fedeli, in America, alla proposta della fede?
“La risposta viene dalla testimonianza di 70 milioni di cattolici. C’è un aspetto interessante: ogni anno, la prima domenica di Quaresima, persone adulte presentano al vescovo la richiesta di essere preparate al battesimo per la notte o il giorno di Pasqua. Quest’anno, ci sono stati 112.000 adulti che hanno chiesto ai vescovi di prepararli al battesimo. 112.000 sono quasi una diocesi in Italia. Questo vuol dire che moltissime persone trovano nella Chiesa cattolica una risposta agli interrogativi fondamentali della loro esistenza”.
Pedofilia: la reazione della Chiesa
Il fenomeno della pedofilia, soprattutto legata alla Chiesa, è un tema di tremenda attualità. Alcuni casi hanno riguardato gli Usa. Cosa può fare la Chiesa per difendersi?
“La prima cosa che la Chiesa deve fare per difendersi, è che non ci sia più un solo caso di pedofilia al suo interno. Neppure uno, perché i genitori consegnano pieni di fiducia i propri figli alla Chiesa, ed è un tradimento che i loro bambini siano violati. La seconda considerazione è che per affrontare questo problema serve una battaglia veramente forte. Gli studi americani mostrano che i casi più numerosi di violenze sono nella famiglia, poi nella scuola e infine in tutte le istituzioni, religiose ed educative. È proprio qui, alla radice, che bisogna agire per porre rimedio alla questione della pedofilia”.
Come mai l’attacco è concentrato sulla Chiesa cattolica?
“Perché sta diventando un business. Gli avvocati ricavano quantità enormi di soldi da queste accuse che vanno a trattare casi avvenuti specialmente tra il 1950 e il 1985. Molti degli accusati sono morti da un pezzo o non sono più in servizio, però le vittime sono ancora viventi. Ho parlato con loro: mi hanno detto che è un’esperienza che distrugge una persona e che cambia tutto il resto della sua vita”.
Papa Benedetto e gli States
Nel 2008, c’è stata la visita di Benedetto XVI negli States. Che cosa ha prodotto? C’è stato un cambiamento nell’atteggiamento dei fedeli, in precedenza forse un po’ “freddini” col nuovo Papa?
“La sfiducia nasceva dalla non conoscenza dell’uomo. Papa Benedetto XVI aveva una letteratura non positiva negli Stati Uniti. Essendo stato, per ventiquattro anni, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, quello che una volta si chiamava Sant’Uffizio, negli Usa c’era l’idea di lui come di una persona inflessibile, inumana, intransigente. Io ho utilizzato molto i mass media per aiutare a cambiare questa ingiusta immagine del papa. Ho detto a loro: guardatelo e ascoltatelo quando arriva. Il modo veramente umile che ha di porsi e allo stesso tempo i suoi discorsi pieni di sostanza e di conoscenza di ciò che passa attualmente nel mondo, hanno fatto sì che il papa fosse visto per quello che è ed ascoltato con interesse. Papa Benedetto XVI è un maestro della fede, su questo non ci sono dubbi. Ed è un maestro della fede nel pensiero di oggi che è fatto di relativismo e di materialismo”
Il silenzio di Ground Zero
Quindi un viaggio positivo…
“Molto positivo. Ha avuto un impatto enorme e ha toccato tanti aspetti. C’è stato evidentemente un forte contatto con i cattolici, ma anche con le diverse denominazioni cristiane, nell’incontro ecumenico e con le diverse religioni che esistono negli Stati Uniti, nell’incontro interreligioso. Ma il momento in cui Bendetto XVI ha raggiunto il cuore di tutti gli americani, credenti e non credenti, è stata la visita al posto in cui c’erano le Torri Gemelle, luogo che ha unificato l’intero popolo americano. Quel fatto, il primo attacco all’interno degli Stati Uniti, ha scosso la coscienza di tutti gli americani. Il Papa lì, di proposito, non ha fatto nessun discorso. Era un luogo del silenzio, della preghiera e soprattutto della pace, un luogo per testimoniare che il metodo umano di dirimere le questioni è il dialogo e non la violenza. Questo è senz’altro un bellissimo ricordo per il popolo americano e anche per il papa”.
Tante sofferenze nel cuore
Siamo nel suo 25° anno di episcopato. Che cosa ricorda di questo lungo periodo di missione? Che cosa sente che si sia realizzato e che cosa invece pensa sia ancora da cambiare?
“Il 25° anno del mio episcopato sarà il 9 novembre prossimo, che è la festa della dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, chiesa madre di tutta la città di Roma e del mondo intero. Cosa posso pensare dopo 25 anni? Sono 25 anni di episcopato, ma sono anche 42 di missione in diverse parti del mondo. Ciò che penso è questo: mi pesa quello che non ho fatto, perché in questi più di 40 anni sono venuto a contatto con tante persone che soffrono fisicamente, moralmente, economicamente, politicamente. Molte volte penso che avrei dovuto fare di più, essere più coraggiosamente la voce di chi non poteva parlare per la difesa dell’uomo e della sua vita”.
Elisa Melosu