I lettori de il Ponte conoscono bene il nostro grande impegno sulle problematiche sociali. Una delle fonti di questo lavoro è l’agenzia Redattore Sociale, nata tanti anni fa all’interno del Cnca, il Coordinamento nazionale comunità accoglienza, che raccoglie 250 realtà che si occupano di disagio ed emarginazione grave, dal GruppoAbele alla comunità di Capodarco.
Sergio Trasatti, direttore di Redattore Sociale, è intervenuto alla Festa regionale dei giornalisti a Piacenza il 29 gennaio, parlando su “Il giornalismo sociale per una cultura nuova”.
Sergio, di quali “novità” il giornalismo ha bisogno oggi?
“Se dovessimo sottostare alle regole del web nelle nostre scelte editoriali, per esempio seguire l’onda di quel che vogliono i social o impostare il traffico di notizie ai fini della raccolta di pubblicità, se dovessimo ragionare solo in questi termini, certi argomenti – tipo carcere, rom o alcune forme di disabilità – non li tratteremmo mai. Così come non vengono trattati dai grandi media, se non in chiave di cronaca nera, e non certo di approfondimento o inchiesta. Una delle novità che servirebbero al giornalismo è invece prendere in considerazione alcuni fenomeni sociali che sono stati abbandonati, ma che contengono una miniera di spunti per fare un giornalismo di qualità, che attiri lettori”.
Il Corriere della Sera dedica due pagine al sociale. Il Tg 2 porta avanti la rubrica “Tutto il bello che c’è”. Segni di una riscoperta del valore dei temi sociali nell’informazione?
“In realtà rubriche di questo genere ci sono sempre state. Si tratta di un’informazione sociale molto parziale e orientata su alcuni focus: le buone notizie, l’opera caritatevole particolare… Sia Repubblica, con “MondoSolidale”, che il Corriere con i blog “Corriere Sociale” e “Buone Notizie”, o la Rai con “Fai la cosa giusta”, all’interno di Uno Mattina, restano piccoli angoli. Non critico i colleghi, ma le scelte editoriali, che si limitano ad uno spazio di nicchia per il sociale perché “bisogna averlo”. In realtà oggi c’è uno squilibrio clamoroso tra le risorse umane che una redazione investe su politica e sport e quelle sul sociale. Un assessore non fa un respiro che non ci sia un giornalista pronto a raccoglierlo. Sui temi sociali invece si manda l’ultimo arrivato: “Ma sì, che ci vuole? Vacci tu”. A seguire il consiglio regionale non ci va l’ultimo arrivato: servono competenza, conoscenze, fonti. Ma anche la disabilità è una materia. Anche l’immigrazione”.
Quali sono allora le regole per raccontare il sociale senza cadere nel “santino” o nel “caso umano”?
“Competenza: devi studiare. Avere memoria. Accumulare conoscenze. Se io, da fuori, vengo a seguire il Consiglio comunale a Rimini, potrò fare un resoconto che è un verbale: cosa ha dichiarato il sindaco, il consigliere di maggioranza e quello di opposizione… Chi invece segue il Consiglio da anni farà un pezzo del tutto diverso. Lo stesso è per i temi sociali. Abbiamo realizzato una guida che aiuti il giornalista a lavorare, fornendo dati e un vocabolario. Se anche proponi un’analisi impeccabile del fenomeno, ma poi chiami gli stranieri vucumprà, hai vanificato tutto… ”
E le fonti?
“La parola d’ordine è diversificare. Non esistono solo carabinieri, magistrati, polizia, politici. Ci sono piccoli istituti di ricerca sul territorio utilissimi per fare la fotografia di certi fenomeni a livello locale. E poi c’è il capitolo volontari“.
Volontari come fonti?
“Certo. I volontari non sono solo quelli che lavorano in silenzio; hanno competenza e come tali vanno interpellati, così come gli operatori sociali, ovvero coloro che hanno fatto del sociale il loro mestiere. Tante leggi sono il frutto di intuizioni del volontariato che, lavorando sul campo, ha intravisto prima di altri i problemi e le possibili risposte. Pensiamo alle comunità terapeutiche o all’accoglienza dei minori. È un patrimonio enorme, che tu giornalista devi riconoscere“.
I temi sociali hanno protagoniste persone fragili…
“Se scrivi di politica hai davanti persone in grado di difendersi, magari anche temibili, quindi stai attento, pesi le parole… Nel sociale per lo più hai a che fare con persone che, qualsiasi cosa tu scriva, mai avranno la possibilità di dirti: «hai sbagliato»”.
E allora, come dev’essere il buon giornalista che si occupa di sociale?
“Uso uno slogan frutto di una ricerca sul lavoro di Redattore Sociale: imparziali, ma non indifferenti. C’è un confine tra la professionalità, che devo mantenere, perché sono un giornalista che risponde ai suoi lettori e non l’attivista di un’associazione, e un livello di partecipazione che comunque sono chiamato a non escludere’”.
Barbara Sartori