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Sequestro in odore di Camorra

Un sequestro da 2 milioni e mezzo: un hotel, 5 società che gestiscono altrettanti hotel, un appartamento, una gastronomia. Il blitz compiuto dai finanzieri del nucleo di polizia tributaria e dai poliziotti dell’ufficio criminalità della Questura coordinato dal procuratore Paolo Giovagnoli porta la data dell’8 maggio. Una data da segnare perché è la prima volta che in Riviera Romagnola si applica il sequestro anticipato previsto dal nuovo codice antimafia, la logica che lo muove è la confisca dei beni che si ritiene abbiano valore sproporzionato rispetto al reddito o all’attività economica di chi li detiene. In poche parole si è rilevata un’incongruenza tra il reddito dichiarato (15mila euro) e le proprietà economiche e immobili (800 mila euro nell’esercizio delle loro imprese alberghiere).
Sotto l’occhio del ciclone un’intera famiglia, che da 20 anni opera in Riviera nella gestione di hotel ed attività turistico-commerciali. C.L., F.L. e G.B.L., pregiudicati per delitti legati agli stupefacenti e altri reati.
Ciò che ha fatto gridare all’infiltrazione mafiosa è alla presenza camorristica in Romagna è stato il legame parentale tra i tre “di Rimini” e una famiglia, affiliata al clan Abate di San Giorgio a Cremano (Napoli), legame di parentela che è stato negato. Uno dei proprietari degli hotel coinvolti nella confisca ha infatti dichiarato alla stampa locale che: “Sono state dette delle falsità a partire dalla presunta parentela con gli Abate di San Giorgio a Cremano. Non siamo camorristi”. Dalle indagini è emerso, invece, che nel corso degli anni ci fosse un costante contatto tra gli indiziati e quelli che gli inquirenti ritengono gli zii materni residenti nel meridione.
Il provvedimento ha natura amministrativa; attualmente, infatti, i beni sequestrati sono gestiti da un custode ed amministratore giudiziario che è stato nominato dal Tribunale. I tre hanno rigettato le accuse e il giorno dopo il sequestro si è assistito anche ad una protesta davanti al Tribunale con uno degli indagati che ha minacciato di darsi fuoco chiedendo giustizia. La tanica conteneva però acqua sporca e il giovane si è procurato pure una denuncia per procurato allarme.
Netto l’intervento del sindaco di Rimini, Andrea Gnassi che a caldo ha dichiarato: “Qua non si passa. Via camorra, ‘ndrangheta, mafia dalle nostre terre. È la dimostrazione che dallo scambio di informazioni, segnalazioni e attività sospette tra Comune, Prefettura, Forze dell’Ordine possono partire azioni e indagini straordinarie. Ciò che abbiamo fatto in questi due anni di lavoro al Comitato Ordine Pubblico e Sicurezza. Se fino a qualche anno fa qualcuno pensava che di mafia non stava bene parlarne perché magari faceva male a noi abbiamo cambiato la cultura della lotta alla mafia. Diciamo che la mafia esiste, tenta di radicarsi e la combattiamo”. Per Stefano Vitali, presidente della Provincia di Rimini, “Con l’operazione annunciata oggi si scopre definitivamente e ufficialmente il velo anche su un certo modo di intendere «la ragion di Stato». Gli elementi investigativi già emersi e quelli che stanno emergendo dimostrano che il problema c’è e non da ora, esiste, è profondo, e dunque tentativi di negarlo, minimizzarlo o di caricaturizzarlo sono inutili e nocivi”.

La Corte d’Appello entrerà nel merito dei sequestri e delle sue motivazioni nel corso dell’udienza fissata per il prossimo 15 luglio.

Angela De Rubeis