Home Editoriale Senza visione comune

Senza visione comune

L’Italia dei rancori. È una delle immagini con cui è descritta la società italiana nell’ultimo Rapporto Censis. Più di qualcuno ha commentato sarcasticamente dicendo che non serviva l’indagine del Censis per affermarlo. Basta guardarsi attorno – al supermercato, per strada, falla fila ad un qualsiasi sportello, sul web… – per rendersene conto. L’imbruttimento generale è piuttosto palese: i nervi sono a fior di pelle, l’aggressività pure. Il Censis ha semplicemente dato una veste scientifica ad un sentimento che cova da tempo e che trova modo di esprimersi, a volte, anche in forme drammatiche. Tuttavia ci sono anche altri aspetti che il Rapporto mette in rilievo, come il fatto che una ripresa economica è in atto, trainata dall’industria e dalla tecnologia, e si assiste pure ad una ripresa dei consumi. Gli effetti positivi di questi lenti ma reali processi sul sentimento generale della società italiana però sembrano tardare: crescono invece il rancore e la sfiducia nelle istituzioni, soprattutto nella politica. Come mai? Il Rapporto suggerisce delle interessanti chiavi di interpretazione. Una ha a che fare con la frammentazione della nostra società: nulla di nuovo per la verità, solo una conferma ripetuta ormai da qualche anno. Il tessuto relazionale delle nostre città è fortemente compromesso e in gran parte corroso. L’altra chiave interpretativa riguarda la mancanza di una visione di futuro: “Il futuro è schiacciato sul presente”. Questo schiacciamento inibisce qualsiasi forma di progettualità, di sguardo a lungo termine, di prospettiva… Forse si può semplicemente dire – mettendo insieme le due cose – che manca una visione comune di società: un’ immagine condivisa di quello che vogliamo essere e di quello che vogliamo diventare come Paese. Manca un progetto comune che ci dia fiducia e che ci faccia battere il cuore come italiani. Ognuno invece procede a tentoni, per conto suo, alla ricerca di una improbabile felicità individualistica. In questo orizzonte sembrano sempre più rare le “narrazioni comuni”: cioè quei racconti dentro i quali un popolo si ritrova e si riconosce. In una recente intervista Cacciari se la prende coi cristiani, perché sono in parte responsabili della banalizzazione del Natale, avendo lasciato cadere nel dimenticatoio il racconto e il significato del racconto che stanno alla base del Natale stesso. Intere scolaresche – denuncia – stanno davanti a immagini sacre e restano mute perché non sanno decifrarle: hanno perso la memoria dei racconti biblici da cui quelle immagini si sono originate. C’è materiale per riflettere.

Alessio Magoga