“Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti, dentro questa bella ‘prigione’. Sì, così l’ho pensata ricordando un testo scritto da quel prete romagnolo, don Oreste Benzi che parlava di questi posti come di ‘prigioni dorate’. Non è stata vostra madre a portarmi qui ma sono stato io a convincere i miei figli, i vostri genitori, per non dare fastidio a nessuno.
Nella mia vita non ho mai voluto essere di peso a nessuno, forse sarà stato anche per orgoglio e quando ho visto di non essere più autonomo non potevo lasciarvi questo brutto ricordo di me, di un uomo del tutto inerme, incapace di svolgere qualunque funzione”.
È iniziato con alcuni stralci della lettera di un nonno di 85 anni ai suoi cari, poi morto durante la pandemia, il webinar promosso, nei giorni scorsi, dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Comunità Papa Giovanni XXIII sul tema “ Senza anziani non c’è futuro” al fine di approfondire uno dei temi più tragici emersi durante l’emergenza sanitaria da Covid-19: quello delle morti degli anziani nelle residenze.
Il titolo richiama l’appello, lanciato il 20 maggio scorso dalla Comunità di Sant’Egidio “Senza anziani non c’è futuro. Appello per ri-umanizzare le nostre società. No a una sanità selettiva”, di cui è promotore e primo firmatario il fondatore della Comunità, Andrea Riccardi.
L’appello, che è stato sottoscritto anche dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, ha raggiunto finora 15mila firme, raccolte in tutta Europa.
“Con questo appello esprimiamo il dolore e la preoccupazione per le troppe morti di anziani di questi mesi e auspichiamo una rivolta morale perché si cambi direzione nella cura degli anziani, perché soprattutto i più vulnerabili non siano mai considerati un peso o, peggio, inutili”, si conclude l’appello che si può firmare sul sito della Comunità di Sant’Egidio.
“Le grande vittime del Coronavirus sono gli anziani: Andrea Riccardi ha recentemente parlato di ‘anzianicidio’ avvenuto nelle case di cura e nelle Rsa”, ha ricordato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, all’inizio del suo intervento. Un “anzianicidio” che accomuna tutto il mondo occidentale.
Impagliazzo ha sottolineato che “gli anziani sono più a rischio di morte per Covid, ma se vivono a casa non nella stessa proporzione di quelli ricoverati in istituto. A casa vivono di più, anche in situazioni complesse”.
Il presidente della Comunità di Sant’Egidio ha citato anche uno studio realizzato a Tel Aviv che confronta i posti letto nelle strutture per anziani in Spagna e in Grecia:
“La Grecia ha avuto 15 morti da Covid-19 ogni milione di abitanti contro i 542 della Spagna. L’unica cosa che differenzia i due Paesi è che la Spagna ha una grande rete di istituti per anziani, rete quasi inesistente in Grecia”.
Per Impagliazzo, “è l’emersione del modello degli istituti che non funziona e che, nel nostro Paese, è in contraddizione con lo spirito del nostro Servizio sanitario nazionale e con l’articolo 32 della Costituzione perché svuota il diritto alla salute da garantire tutti”.
Dunque,“c’è necessità di una riconversione del modello attuale di assistenza socio-sanitaria degli anziani, prendendo esempio dalla chiusura degli orfanotrofi e la conseguente apertura di strutture residenziali di tipo familiare per i minori”.
Di qui la proposta: “Aiutare ogni anziano del nostro Paese e del mondo a vivere a casa propria, nelle case famiglia, nel cohousing, con la presa in carico territoriale dei bisogni di cura a varia intensità”. “Non rassegniamoci a istituzionalizzare i nostri anziani. Questa è la nuova frontiera della difesa della vita, superando la solitudine e promuovendo un incontro tra le generazioni”, l’appello di Impagliazzo.
“È necessario un cambio culturale, esistenziale, che riporti la centralità della persona all’interno della famiglia.Oggi, invece, abbiamo un contesto culturale che si è capovolto: nelle famiglie, anche per la struttura architettonica delle nostre città e per i ritmi di lavoro, non c’è più spazio per gli anziani o per le persone deboli, che diventano un ingombro, un inciampo, uno scarto, come dice il Papa. Sono state create così queste strutture: mi ha colpito scoprire in questa pandemia di strutture che ospitavano anche 800 anziani”, ha affermato Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Giovanni XXIII . “ Non vogliamo toccare il lavoro, la professionalità di chi s’impegna in queste strutture, ma è una critica molto seria dell’impostazione della nostra società dove è lo stesso anziano che chiede scusa di esistere e anticipa i propri figli decidendo di andare in casa di riposo”, ha aggiunto. Secondo il responsabile dell’Apg23, “ per far sì che l’anziano possa rimanere nella propria famiglia, servono da parte dello Stato interventi di tipo economico, assistenziale, educativo e di domiciliarità
che permetterebbero dei risparmi per la collettività”.
Per Ramonda, “la pandemia, con il suo tragico carico di morti, deve farci assumere scelte di vita:dobbiamo utilizzare quell’intelligenza d’amore che è propria dell’antropologia cristiana per fare insieme questa proposta di una rivoluzione che riparta dalla dignità degli anziani”.
“Il ricovero degli anziani è il cuore dei figli”. Con il ricordo di una frase di don Oreste Benzi è iniziata la testimonianza di Flavio ed Elena Zanini, una coppia aperta all’accoglienza della rete della Papa Giovanni XXIII, che da cinque anni ha preso con sé l’anziana madre di lui, affetta da demenza senile. Flavio ha raccontato: “ L’impegno è diventato sempre più gravoso ed è stata importante la disponibilità di un centro diurno per anziani parzialmente autosufficienti vicino casa. Man mano la situazione è peggiorata e ora, a 89 anni, ha una demenza senile grave. A fine dicembre ci siamo rivolti a un centro diurno per malati di Alzheimer. Dopo un mese e mezzo la responsabile del centro mi ha detto che si era creato un posto libero nel piano residenziale. Io ho detto subito di no, poi mi sono pentito di non essermi confrontato con mia moglie che porta il peso maggiore dell’accudimento.
Intanto, il giorno dopo il posto libero nel centro residenziale era stato già occupato. Questo è successo pochi giorni prima dello scoppio della pandemia. Credo che non l’avremmo più rivista se l’avessimo ricoverata nel centro residenziale”. Con sincerità il figlio ha ammesso: “ Non c’è nulla di poetico a stare vicino a una persona con demenza grave, ma è un tesoro da ricercare ogni giorno”.
Elena ha spiegato: “ Mia suocera mi chiama mamma, è come avere un rapporto con un neonato. Ogni giorno sono chiamata a cercare la perla di questo stare insieme.
Sicuramente lei non avrebbe mai voluto sentirsi un peso per noi.
Questa parola, peso, ha una grande portata: nessuno vuol essere un peso, ma ogni relazione ha la sua dose di fatica e di fedeltà”.
Il fratello della suocera è morto in una casa di riposo ad aprile durante la pandemia. Elena ha concluso: “ Il Covid mi ha ‘salvato’ dalla scelta di ricoverare mia suocera di cui oggi mi sarei pentita perché non poterla più vedere, come è stato per suo fratello, mi tormenterebbe molto”.
Gigliola Alfaro