La solitudine dei giovani è un tema sempre più reale e concreto. Fisiologica nei ragazzi di ogni epoca e tempo, diventa particolarmente rilevante oggi se considerata in un contesto sociale in cui si è costantemente connessi con gli altri. Tradotto: più sono le persone di cui possiamo circondarci e maggiore è il senso di solitudine
Si può essere soli in mezzo a centinaia di persone? Sentirsi una goccia in mezzo a un mare di visi che tra di loro si guardano, ma non lasciano nulla se non delle fugaci occhiate? Un’indifferenza disillusa che si affaccia sul mondo, come quella della Sally di Vasco Rossi, una donna che ‘ormai guarda la gente con aria indifferente’. Non sono frasi da pessimismo cosmico, ma è la dura realtà che spesso circonda i nostri giovani, capaci di vivere la solitudine in una classe piena di amici, a una festa con tanti invitati o all’interno di una famiglia che li riempie d’amore. E poi farsi completamente assorbire da questo stato, il più delle volte incapaci di reagire. Una solitudine che, purtroppo, può sfociare anche in atteggiamenti di tipo violento. Uno stato d’animo che può radicarsi talmente tanto da rendere cieco chi la prova, offuscando la ragione e portando a commettere azioni deliberate e frutto di un malessere che non sempre viene intuito dagli altri, almeno fino a quando non esplode. Anche attraverso azioni di una violenza profonda e imprevedibile. Solo nell’ultimo anno sono diversi i fatti di cronaca che hanno coinvolto in prima persona i ragazzi. Solo per citarne uno, il diciassettenne che a fine estate ha sterminato la propria famiglia, compreso il fratellino. Il motivo? “Volevo cancellare tutta la mia vita di prima, stavo male e mi sentivo estraneo”. La risposta a fatti di questo tipo può essere ritrovata soltanto nella solitudine o nel malessere di un’intera generazione? Certo che no, si tratta di casi estremi. Ma lo zampino di una ‘malattia’ diffusa che si annida tra le menti di molti giovani è una questione da non sottovalutare. Un campanello d’allarme che testimonia forse il fallimento di un intero contesto socio-culturale, in cui non si può ignorare anche il profondo impatto portato dagli strumenti delle nuove tecnologie, in primis smartphone e social network. La palla passa dunque agli adulti che devono intuire che ormai il mondo giovanile ha rotto gli argini, si è completamente discostato dallo “stampino” dell’educazione che per decenni ha fatto scuola alle varie generazioni. Generazioni che sono cambiate e che rappresentano una spaccatura con quelle precedenti.
Uno stato d’animo molto diffuso tra i giovani, che può anche sfociare in comportamenti di tipo violento, come purtroppo hanno dimostrato diversi fatti di cronaca. Alcune riflessioni
Lucia ha 25 anni, abita a Rimini ed è una nativa del nuovo millennio. Ha fatto i conti con la digitalizzazione e con il contesto sociale che questa oggi ha creato, con la solitudine che uno smartphone può provocare, ma allo stesso tempo si ricorda di quando la tecnologia non era ancora così pervasiva nelle vite dei giovani, influenzandone profondamente comportamenti e stati d’animo. Insomma, Lucia ha in mente il prima e il dopo, essendo la sua, quella dei nati tra il ’95 e il 2001 circa, una delle ultime generazioni che ancora ricordano come si viveva ‘prima’.
Lucia, com’è stata la tua infanzia?
“Sono cresciuta in mezzo all’amore della mia famiglia e l’affetto degli amici. Sempre pochi ma buoni, non mi è mai piaciuto circondarmi di tante persone senza poi avere dei legami forti, ho preferito avere delle compagnie di qualità che sapessero stare al mio fianco”.
Quando hai capito che stavi crescendo per la prima volta?
“Dopo il diploma, il primo vero traguardo della vita di un giovane. Rendersene conto non è sempre bello a primo impatto: tu stai crescendo e le persone affianco a te invecchiano. Per questo credo che la crescita di un giovane sia un momento delicato che va trattato con la dovuta cautela”.
Cosa ne pensi dei fatti di cronaca che nell’ultimo periodo hanno coinvolto in prima persona i giovani?
“Mi fanno paura, non li riesco a comprendere nemmeno io. Ho 25 anni e mi risulta lo stesso complicato comprendere alcuni gesti e le loro cause. A volte basterebbe soltanto parlare, confrontarsi per trovare una soluzione”.
Credi che la solitudine sia uno dei motivi?
“Potrebbe essere, ma non saprei. Negli ultimi anni sicuramente la solitudine tra i ragazzi è aumentata, ma allo stesso tempo anche la cerchia degli amici, virtuali e non. Tutta questa disponibilità di persone non sempre è una cosa positiva, l’imbarazzo della scelta secondo me porta a una maggiore superficialità e, quindi, a una chiusura sempre maggiore. Con tutte le conseguenze del caso”.
Tu con chi ti confidavi?
“Con quelle due o tre amiche, che tuttora sono le mie amiche più strette. Soprattutto sempre di persona, magari davanti ad un caffè. Avevo bisogno dei loro sguardi, vedere come reagivano”.
In tutto questo come vedi il mondo degli adulti? C’è apertura e comprensione nei confronti di quello dei giovani?
“Per me non sempre. Sono diventati troppo diversi tra di loro. Non è una cosa negativa, ma soltanto il normale scorrere del tempo e il cambiamento delle generazioni. Quello che noto è che i ragazzi di oggi sono molto più complicati e difficili da capire nelle dinamiche, rispetto ai nostri genitori nei confronti dei nostri nonni”.
Quale può essere, quindi, la strada da percorrere?
“Troppo complesso per avere una soluzione unica e decisiva. Ma un punto di partenza è quello di dare molta più importanza all’aspetto relazionale e alla psicologia nelle scuole: partendo da qui si può arrivare a crescere degli adulti che abbiano una maggiore sensibilità”.
Federico Tommasini