Des Simplicius Simplicissimus Jugend di Hartmann in un nuovo allestimento alla Kammerspiele di Innsbruck
INNSBRUCK, 11 aprile 2024 – La storia raccontata dalle donne assume intensità diverse rispetto alla narrazione ufficiale. Tanto più se si tratta di guerra. Una consapevolezza che forse già possedeva Karl Amadeus Hartmann quando compose, fra il 1933 e il ’34, Des Simplicius Simplicissimus Jugend e per il ruolo del protagonista pensò a un soprano. La regista Eva-Maria Höckmayr, nello spettacolo realizzato per la stagione operistica di Innsbruck, ha ulteriormente enfatizzato questa scelta affidando pure la figura del narratore a un’attrice.
Basata su un libretto tratto dallo stesso Hartmann – seppure in collaborazione con altri – dal romanzo picaresco di Grimmelshausen, molto popolare nei paesi di lingua tedesca, La giovinezza di Simplicius Simplicissimus è un visionario apologo sui rischi del nazismo ormai incombente; e questo spiega perché l’opera fu eseguita per la prima volta solo nel 1948, a conflitto finito (una decina d’anni dopo il compositore propose una nuova versione più ampia, intitolata “semplicemente” Simplicius Simplicissimus). Sullo sfondo della devastante guerra dei Trent’anni che insanguinò l’Europa nella prima metà del seicento, ma che Hartmann fa convivere con le rivolte dei contadini tedeschi di un secolo prima, l’ingenuo contadinello Simplicius – nella scena conclusiva dell’opera – delinea un’esemplare analisi delle disuguaglianze sociali e della violenza che ne deriva. Mentre a scandire il numero dei morti resta la voce, solo recitata, del Narratore: come se il mero canto, davanti a tanti orrori, facesse un passo indietro.
Nello spettacolo concepito per il piccolo palcoscenico della Kammerspiele predominano il bianco e il nero, suggerendo l’idea del cabaret brechtiano, aggiornato a una visualità che sembra guardare a Kantor. La scena di Ralph Zeger – una struttura circolare rotante, che si può aprire e chiudere come un sipario – e soprattutto i costumi, firmati ancora da Zeger, danno l’idea di una umanità inerte, quasi mummificata: molto significativo il quadro in cui le pecore vengono raffigurate dai coristi, a quattro zampe. Solo la terza e ultima scena, dove troneggia una montagna di cadaveri ammucchiati (fantocci di pezza) su cui si accaniscono i detentori del potere, compare qualche accenno di colore: non a caso il rosso del sangue, che riporta in modo esplicito alla guerra.
D’altronde la Höckmayr nutre una visione ancor più pessimista, se possibile, di Hartmann. È significativa la scelta di far interpretare allo stesso cantante sia l’Eremita – unico personaggio nominalmente positivo – sia il Governatore, che rappresenta invece un condensato di violenza e arroganza: trasformazione, questa, che appare un’amara considerazione sulle ambiguità del nostro presente. Per Hartmann, invece, la figura dell’Eremita possedeva un valore quasi autobiografico: in anni in cui molti tedeschi preferirono la strada dell’esilio, rappresenta quegli artisti che – come lui – avevano scelto invece la via del silenzio, senza espatriare ma rinunciando a far eseguire in Germania le proprie musiche.
La regista effettua un accuratissimo lavoro sulla gestualità degli interpreti, recuperando in questo modo anche quella dimensione coreutica presente nella seconda versione, dove Hartmann aveva introdotto la figura di una danzatrice. E la risposta ottenuta da ciascuno è stata ottima, a cominciare dalla bravissima Marie Smolka, giovane soprano capace di compiere le più spericolate acrobazie mentre canta con ineccepibile sicurezza. Presenza carismatica, poi, quella dell’attrice Eleonore Bürcher, che tiene le fila del racconto con dolorosa empatia. Sul versante maschile svettava per i mezzi vocali il baritono Benjamin Chamandy, il Lanzichenecco, mentre il tenore Michael Heim è apparso più convincente nel ruolo del Governatore che in quello dell’Eremita. Completavano il cast Oliver Sailer (il sergente e il contadino) e Nikita Voronchenko (il capitano), a loro agio nella vocalità declamatoria: un espressivo Sprechgesang, che si sostiene su una scrittura musicale per molti aspetti debitrice di Stravinskij e Prokof’ev, compositori che per Hartmann rappresentavano un faro.
Hansjörg Sofka ha diretto gli strumentisti e il coro dell’ottimo Tiroler Ensemble für Neue Musik con rigore e massima precisione, senza far mai venir meno alla musica il suo andamento affabulatorio e narrativo. Un’esperienza entusiasmante di ascolto che rende chiaro l’endorsement di Henze, compositore affine a Hartmann per tanti aspetti e che definiva Simplicius «il più compiuto esempio di teatro immaginario».
Giulia Vannoni