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I seminaristi alla scuola pubblica

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Il percorso si rivela in salita e il vescovo non nasconde le difficoltà: “Se chiudendo il 1968 abbiamo certamente trovato motivi per esprimere al Signore la nostra riconoscenza, non possiamo nascondere che esso ha lasciato in noi motivi di riflessione e di preoccupazione per le tensioni che si sono manifestate nella società e nella Chiesa stessa”.

Nonostante tutto, però, l’attività del Consiglio pastorale diviene in quegli anni un punto di riferimento per il coinvolgimento di presbiteri e laici e la serietà con cui vengono affrontati i diversi temi.
In particolare la relazione tra fede e vita fa da guida al ridisegnarsi della pastorale e determina il metodo di lavoro e la struttura stessa dei nuovi organismi pastorali. Così il Consiglio pastorale lavora articolandosi in commissioni permanenti per i diversi ambiti di intervento e orientamento: il mondo del lavoro e del turismo, la famiglia, il sociale e la scuola, le comunicazioni, la liturgia, le missioni.

L’affermazione di una ecclesiologia di comunione porta inevitabilmente alla necessità di una ridefinizione della vita e dell’identità stessa dei presbiteri e dei religiosi. Si tratta di una trasformazione profonda, che chiede di rivedere gli ordinamenti e il senso dei luoghi di formazione, le regole di vita comune e, più in generale, le modalità di presenza nella società, a cominciare dall’abito. Il problema di fondo riguarda l’identità del presbitero nel suo rapporto con un mondo, anche quello cattolico, che percorre strade plurali e spesso divaricate, mentre sono messi in discussione i fattori che avevano costituito gli elementi base della formazione sacerdotale come la tradizione, l’autorità e la stessa separatezza proposta dal modello formativo dei seminari elaborato dal Concilio di Trento.
Si trattava di ripensare la vocazione al sacerdozio all’interno di una Chiesa non più vista giuridicamente, come società perfetta e gerarchizzata, ma come una realtà di popolo di Dio in comunione e in cammino verso il Regno.

Anche se gli abbandoni di preti a Rimini sono in numero limitato rispetto al resto dell’Italia, per il vescovo Biancheri quello delle vocazioni sacerdotali e del rinnovamento del seminario diocesano è tema avvertito come urgente e su questo impegna la riflessione di tutta la diocesi. Nel settembre 1967 il presbiterio approva il nuovo progetto educativo del seminario diocesano. Le novità più interessanti riguardano la formazione e sono relative alla scelta di far frequentare ai seminaristi la scuola pubblica (non solo il liceo classico, ma anche l’istituto magistrale e il liceo scientifico) e di inserire quanti già frequentano la teologia nell’attività pastorale di alcune parrocchie.
Quello del seminario non è più un ambito totalizzante, ma diventa “un luogo di fraternità, di amicizia, di vita cristiana, in osmosi permanente con l’ambiente esterno”. Nel solco di questa coraggiosa scelta si porranno anche i successivi piani formativi, pur con i necessari aggiustamenti e integrazioni.

Il vescovo Biancheri si mostra aperto anche a nuove, diverse, proposte formative. In uno sforzo di ascolto a ciò che va mutando nel contesto sociale, consente a Renzo Gradara, di divenire sacerdote nel 1973, quando già da un anno lavora in una fonderia a Villa Verucchio, inviandolo poi ad “esercitare il suo sacerdozio in mezzo alle macchine della fabbrica”, incoraggia alcuni giovani a frequentar il seminario per lavoratori aperto nella diocesi di Fano da mons. Costanzo Micci, invia Aldo Fonti a Verona, a studiare presso il seminario per l’America Latina; incoraggia esperienze di vita comunitaria tra sacerdoti.

A dover essere ripensata alla luce dei documenti conciliari non è solo la figura dei presbiteri, ma anche quella dei laici: chiamati ad essere “missionari” in virtù del battesimo e non della appartenenza ad una associazione in particolare, si pongono alla ricerca di un nuovo spazio di autonomia e di riconosciuta emancipazione, segnati al tempo stesso da quello che sta avvenendo nella società civile, attraversata dalla contestazione studentesca, dalle rivendicazioni operaie, da una forte carica contraria a tutto ciò che ha il sapore di una istituzione. Non a caso lo slogan tra i più ripetuti è “fantasia al potere”, indicativo di un andare senza un piano e una meta precisi

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Cinzia Montevecchi