Dal giugno 2020 don Andrea Turchini è il rettore del Seminario Regionale di Bologna, dove si formano i seminaristi della diocesi di Bologna, Ferrara e della Romagna. Giovedì 19 maggio ha presentato la bozza del nuovo progetto formativo del Seminario al Consiglio presbiterale riminese che, per l’occasione, ha visto la partecipazione anche dei preti più giovani. Gli abbiamo chiesto di illustrarci quali sono le proposte che oggi vengono rivolte a chi sceglie di formarsi per diventare prete.
Perché un nuovo progetto formativo? Da dove nasce l’esigenza di questa riscrittura?
“Un progetto formativo, se vuole essere uno strumento utile, deve corrispondere a due riferimenti: la realtà attuale dei seminaristi e le linee di formazione proposte dalla Chiesa nel tempo presente. Il precedente progetto, approvato dai vescovi solo nel 2011, non corrispondeva più a nessun riferimento attuale; da qui l’esigenza di una riscrittura.”
Che cosa è cambiato in questi dodici anni?
“È cambiata la realtà del seminario che, anche solo a livello numerico, è passata da 44 a 26 seminaristi, con l’esigenza di organizzare la vita comunitaria in modo diverso; ma anche la proposta della Chiesa è cambiata perché nel 2016 la Santa Sede ha pubblicato le nuove linee guida per la formazione dei seminari di tutto il mondo, assumendo il magistero degli ultimi papi, da Giovanni Paolo II a Francesco”.
Quali sono queste novità nella formazione?
“Mi sembra che le sottolineature siano principalmente tre. La prima è la più importante: il seminario rappresenta solo la fase iniziale della formazione del prete, perché tutta la sua vita deve essere pensata dentro un processo di formazione permanente di cui il seminario è solo la fase iniziale. Come a dire che il seminario è fondamentale, ma è impossibile pensare che sia sufficiente per sostenere tutto il percorso della vita di un prete.
La seconda novità riguarda l’itinerario della formazione in seminario che è pensato in quattro tappe successive.
La terza riguarda l’obiettivo della formazione: il presbitero che la Chiesa vuole formare deve essere l’uomo del discernimento (capace di stare nella realtà e saperla interpretare), della comunione fraterna (non un battitore libero) e della missione (non solo un gestore o un organizzatore). È molto evidente in questo testo il magistero di papa Francesco”.
Al Consiglio presbiterale tu non hai presentato un progetto già approvato, ma una bozza di lavoro. Perché?
“Quando i preti o le persone che mi conoscono mi chiedono del seminario, spesso mi chiedono solo quanti sono i seminaristi.
Il lavoro che abbiamo avviato ci sembrava una bella opportunità per andare oltre questa semplice curiosità e per condividere la parte più importante del nostro servizio: la proposta formativa.
Ci piaceva pensare che, essendo il Seminario “regionale”, le diocesi che lo compongono fossero il più possibile consapevoli e partecipi della proposta che viene rivolta a coloro che si preparano a diventare preti. Per questo abbiamo intrapreso un percorso “di tipo sinodale”, che durerà diversi mesi e che prevede l’incontro con tutte le nove diocesi nelle modalità scelte dai singoli vescovi. Solo alla fine di questo percorso, nell’ottobre del 2023, i nove vescovi approveranno il progetto formativo del Seminario regionale, che risulterà non solo una proposta scritta dai formatori, ma anche il frutto di un confronto molto più ampio avvenuto nelle nostre chiese”.
Quali sono le “idee forti” della proposta formativa che avete pensato?
“Ci sono tre punti che definirei importanti nella proposta formativa che abbiamo presentato.
Oggi occorre considerare i seminaristi degli adulti in formazione e non degli adolescenti. Se nel passato i seminaristi erano per lo più dei giovani, oggi le età sono molto diverse e i seminaristi provengono da percorsi universitari e da esperienze lavorative. Considerarli degli adulti chiede di valorizzare la loro libertà e la loro responsabilità, sia nel percorso personale che nella vita comune, e di accompagnarli nella verifica di come tale responsabilità è orientata alla sequela di Cristo e alla formazione al presbiterato. È un grosso cambiamento e anche una grande sfida.
Poiché il presbitero è chiamato ad essere “l’uomo del discernimento”, in seminario non è sufficiente lavorare sull’assunzione di uno schema, ma occorre allenare la coscienza al discernimento e alle scelte conseguenti, anche rischiando di sbagliare. Spesso si è accusato il seminario di essere “una bolla” sganciata dalla realtà della vita; questo accade quando ciò che si vive diventa “una simulazione” di ciò che saremo chiamati a vivere domani da preti. Crediamo che il terzo punto importante per la formazione sia la fedeltà a ciò che viviamo oggi, con le sue opportunità e le fatiche: solo questo atteggiamento diviene formativo”.
Come siete arrivati a questa proposta?
Abbiamo vissuto un ampio confronto con altri formatori e formatrici che lavorano in diversi contesti ecclesiali in Italia. Abbiamo studiato a fondo i documenti della Chiesa, in particolare il ricco magistero di papa Francesco. Un momento particolare è stato quello di un “laboratorio sul seminario” organizzato a Bologna all’inizio di febbraio di questo anno, al quale abbiamo invitato figure esperte della formazione e della vita ecclesiale.
Qual è la difficoltà maggiore che incontri nella formazione?
“Oggi viviamo una realtà frammentata e da questa frammentazione non siamo esenti neanche in seminario. Più che difficoltà direi che la sfida più grande è quella di formulare una proposta integrale, che provochi la persona nella sua interezza e non si accontenti di fornire delle abilità o delle competenze”.
E i seminaristi come vivono questa “nuova” proposta?
“All’inizio la proposta di una maggiore corresponsabilità e di una sottolineatura della libertà personale ha suscitato molto entusiasmo, così come l’invito ad una vita che fosse “più reale”; poi, gradualmente, abbiamo fatto i conti con le conseguenze di questa prospettiva: la libertà comporta la fatica di assumersi la responsabilità di una scelta
e di una verifica (con la possibilità di sbagliare!!!); la corresponsabilità richiede la fatica del confronto con gli altri per decidere insieme, dedicando del tempo prezioso; fare i conti con la realtà richiede di considerare che questa si presenta sempre in modo complesso e che non è riducibile a degli schemi teorici.
Qualcuno ogni tanto rimpiange uno schema semplificato o chiede a noi formatori di scegliere per tutti. Anche in seminario la libertà, la fraternità e la complessità rappresentano una sfida ineludibile e faticosa. La formazione è sempre un Esodo e la libertà è sempre una conquista: ce lo insegna la Scrittura”.
Spesso si ascoltano molte critiche sul seminario, sulla sua adeguatezza per la formazione. Qualcuno pensa a soluzioni radicalmente nuove. Cosa ne pensi?
“Nella Chiesa è in corso un dibattito vivace sul seminario anche a fronte di gravi problemi che si stanno vivendo in questo passaggio d’epoca. Mi sembra che a volte si chieda al seminario di risolvere questioni che appartengono a tutta la comunità cristiana. La prospettiva missionaria, per esempio, è necessaria nella formazione in seminario, ma tutta la Chiesa è chiamata a vivere questa conversione.
Guardo con molto interesse alle proposte nuove e spero che alcune si realizzino. Per adesso, però, il seminario rimane la proposta formativa che la Chiesa ha deciso di sostenere e sulla quale mi è chiesto di lavorare al meglio delle mie possibilità”.
Sei contento del tuo servizio in seminario a Bologna?
“Sono contento perché mi trovo in un crocevia importante: la ricchezza della testimonianza dei seminaristi con le loro storie vocazionali e il loro impegno quotidiano; la possibilità di collaborare all’impegno comune che i nostri vescovi si sono assunti sul Seminario; l’opportunità di poter condividere piccoli passi del cammino ecclesiale delle varie diocesi a cui appartengono i seminaristi; tutto questo rende il mio servizio molto ricco e stimolante. A me viene chiesto di favorire questi percorsi personali ed ecclesiali in un servizio di accompagnamento e cercando di facilitare alcuni processi. Per questo ne sono contento anche se mi richiede un certo impegno e molti chilometri”. (cz)