Circa 2.500 minori in Emilia Romagna vivono al di fuori della propria famiglia di origine. Di questi, quasi la metà sono accolti in strutture residenziali e per la maggior parte di loro il progetto di accoglienza termina al raggiungimento della maggiore età.
Ma cosa significa compiere 18 anni in comunità?
Numerose ricerche su questo tema rilevano un forte rischio di esclusione sociale per i minori che escono dalle comunità. Nel sostenere la comunità quale importante risposta di accoglienza nei confronti di infanzie vulnerabili, come è possibile accompagnare i neomaggiorenni in un passaggio così delicato come il reinserimento in società e l’assunzione delle responsabilità che la vita adulta richiede? Grande rilievo viene, infatti, accordato alla fase di post-placement quale possibile fattore di implementazione di inclusione sociale.
Un tema ricorrente nel dibattito pubblico italiano è quello della lunga permanenza dei giovani nella casa genitoriale o comunque un lento e molto graduale accesso alla vita in autonomia. In un contesto socio-politico che vede nella famiglia un ammortizzatore sociale informale molto importante, quale sostegno può essere individuato per chi sulla propria famiglia non può contare?
Su questa linea occorre domandarsi come è possibile sostenere le traiettorie di minori che hanno vissuto un allontanamento dal nucleo familiare (nella maggior parte dei casi per periodi molto più lunghi dei due anni previsti dalla legge) e che si trovano facilmente soli nell’affrontare compiti di sviluppo che presentano particolari difficoltà a prescindere dall’aver vissuto episodi traumatici o essere cresciuti in un ambiente caratterizzato da problematiche pisco-sociali.
Molti care leavers (denominazione che identifica coloro che lasciano il sistema di cura) probabilmente si ritrovano di fronte a un vento forza 8 su una piccola barca in mezzo al mare. Come, allora, essere sereni ma non sconsiderati?
Focalizzare lo sguardo sul sistema dei servizi che si occupano dei minori significa riconoscere una frequente rete di sostegno all’uscita dai minori che cerca di rendere questo passaggio il meno traumatico possibile e che soprattutto non vada a sradicare il lavoro fatto. Tuttavia questo sostegno è spesso da ricondursi alla buona volontà dei professionisti che lavorano a contatto con i ragazzi, ma senza che ci sia un progetto chiaro e formalizzato cui potersi riferire.
Benché sia a livello internazionale, che nazionale, che regionale sia presa in considerazione e tutelata anche l’uscita dal percorso di allontanamento, ancora molto può essere fatto in questa direzione.
Molte risposte possono essere messe in campo, fra queste la proposta della Fondazione San Giuseppe di Rimini per l’aiuto materno e infantile che ha inaugurato lo sportello, Se potessi.
Il punto è stato promosso in collaborazione con Agevolando, l’associazione che si propone di sostenere i minori che escono da percorsi in struttura e che vede fra i suoi associati anche numerosi ex-ospiti di comunità.
Se potessi ha sede presso la Fondazione San Giuseppe e si rivolge a tutti i neomaggiorenni che hanno vissuto un allontanamento dalla famiglia di origine. Si pone l’obiettivo di mettersi a disposizione delle difficoltà concrete della vita in autonomia (scrittura del curriculum, aiuto nella ricerca del lavoro e della casa etc.), vuole cercare di rendere sempre più accessibili le risorse formali e informali che il territorio di Rimini già propone ai suoi cittadini e porsi come luogo di ascolto delle esigenze dei neomaggiorenni cui si rivolge. L’intento è quello fornire un sostegno leggero, probabilmente scontato per molti coetanei che possono rivolgere le stesse semplici domande ai propri genitori o che hanno avuto una socializzazione maggiore alle questioni della vita autonoma.
Diletta Mauri