Nel 2022, su circa 50.000 intenzioni di assunzione delle imprese riminesi, secondo le periodiche indagini Excelsior, oltre il 40% sono state definite di difficile reperimento. Mancano soprattutto operai specializzati e conduttori di impianti, professioni tecniche, dirigenti e professioni di elevata specializzazione, perfino impiegati. Più facili da trovare sono, invece, le figure meno qualificate.
Ora, leggendo quanti sono i disoccupati e gli inattivi in provincia di Rimini, e quanti sono costretti, per assenza di alternative, a lavorare con contratti brevi o stagionali, non è facile trovare una spiegazione sull’origine della forbice tra domanda e offerta di lavoro. Il fatto, però, che lo stesso fenomeno, con piccole differenze, si presenta a Forlì-Cesena, Ravenna e, più in generale, in tutta l’Emilia-Romagna dice, anche, che il disallineamento non è solo un fenomeno esclusivamente locale.
Questo non significa che non debbano essere cercate, luogo per luogo, le soluzioni che migliorino e rendano più fluido l’incontro tra chi offre e chi cerca lavoro. In teoria dovrebbero occuparsene i Centri per l’Impiego, presenti in più località (a Rimini, oltre al capoluogo, uffici dei Cpi sono a Novafeltria, Santarcangelo, Riccione e Morciano di Romagna), ma sappiamo che così non è. Le imprese si rivolgono, quando lo fanno, ai Cpi per le figure meno qualificate, raramente per quelle a maggiore contenuto professionale. Interrogati sul tema un gruppo di studenti dei corsi professionali dell’Enaip di Rimini, solo uno su venti indica i Centri per l’Impiego come i luoghi più indicati per trovare lavoro.
La verità è che non esiste un luogo, in senso anche fisico, dove provare a governare il mercato locale del lavoro. Per cui si assiste a imprese che cercano e non trovano, alcune organizzano persino corsi di formazione in proprio in collaborazione con gli istituti tecnici, altre scuole procedono per conto loro, le agenzie interinali fanno il loro mestiere di fornire alle imprese le figure richieste, le istituzioni pubbliche praticamente sono assenti.
Visto il ruolo, dovrebbe essere la Provincia a svolgere una sorta di lavoro di coordinamento. Ma, dopo la riforma, sono state depotenziate e non hanno più denaro e competenze da spendere. Il Comune di Rimini, capoluogo, nel 2021 ha speso 0.33 euro per abitante (in totale meno di 50.000 euro) per le politiche del lavoro. Tutti gli altri niente. Quindi tutto è affidato al mercato, ma sappiamo che non sempre questo funziona ed è efficiente. Infatti gli esiti lo confermano. Poi di che mercato parliamo se il canale di selezione e reperimento più utilizzato dalle imprese, sempre secondo Excelsior, sono conoscenti, amici e parenti? Ma assieme alla mancata gestione del mercato del lavoro, la provincia di Rimini soffre anche di un deficit di buon lavoro: attraente, qualificato e competitivo. I pochi laureati richiesti dal sistema produttivo locale lo dimostrano. Per offrire, la provincia di Rimini, facendo le dovute proporzioni, le stesse opportunità d’impiego a figure professioni di elevata specializzazione di Modena, realtà presa come riferimento, dovrebbe aggiungerne o riqualificarne almeno 10.000.
Ha scritto Enrico Moretti, italiano docente in Usa ed autore di La geografia del lavoro: “A San Francisco il turismo è l’industria principale, assieme all’alta tecnologia, quindi possono convivere”. Ecco, a noi manca l’alta tecnologia. O qualcosa di paragonabile in termini di buona offerta di posti di lavoro.
Approfondimenti, nelle pagine dell’inserto TRE (Tutto Romagna economia) in edicola.