52 persone tra diaconi e candidati con rispettive consorti, accompagnati da don Tonino e don Sanzio hanno partecipato al pellegrinaggio in Terra Santa, guidato dal vescovo Francesco.
Sono stati veri e propri esercizi spirituali che hanno portato a rivivere i momenti principale della vita di Gesù nella terra dove è nato, vissuto, morto e risorto. Una Terra segnata dai contrasti: il deserto e la fertilità; la basilica e la grotta; la povertà e la ricchezza; la pace e la guerra. La Terra di Gesù, morto “perché tutti siano uno”, profondamente segnata dalle divisioni tra le varie confessioni religiose e tra due popoli: israeliani e palestinesi separati da un orrendo muro che dà il benvenuto in Israele, ma solo ai turisti.
Martedì 28 dicembre. Inizia il nostro pellegrinaggio. Siamo arrivati in serata in Galilea e abbiamo celebrato la Messa al Monte Carmelo legato al profeta Elia: il profeta modello del credente pronto a lasciarsi sorprendere da Dio, capace di “vederlo” con uno sguardo contemplativo, anche quando si manifesta in modo diverso da come ce lo aspettiamo. È con questo sguardo “contemplativo” che siamo invitati dal nostro Vescovo a vivere il nostro pellegrinaggio : “non si vede che con il cuore, ciò che è essenziale è invisibile agli occhi”.
Mercoledì 29 dicembre.Nazareth, Chiesa dell’Annunciazione. Il vescovo Francesco propone la meditazione sul Vangelo dell’Annunciazione.Tutto è partito da qui dal sì di Maria. Maria non pone dubbi sulla possibilità che ciò avvenga, ma chiede luce sulla modalità; non chiede “come sarà possibile?”(l’incredulità di Zaccaria), ma “come avverrà questo?”. Alla spiegazione dell’Angelo Maria non capisce, ma accoglie e risponde:”Amen”.
Il passaggio dalla Basilica alla grotta e la visita al sito archeologico, oltre al dirci come sono avvenuti storicamente i fatti, ci mostra una verità “spirituale”: Gesù al Tempio preferisce il tempo, alla Basilica la Grotta. Invece della Giudea, terra di Davide, sceglie la terra “sbagliata” di Galilea, un villaggio mai nominato e sconosciuto: Nazareth, il paese da cui non può venire niente di buono.
Nel pomeriggio celebriamo la Messa a Cana di Galilea. Con l’incarnazione di Dio, l’acqua della nostra vita è mutata in vino. La nostra vita riceve un nuovo sapore. L’amore, che nell’incarnazione di Dio si è riversato in noi, dilata il nostro cuore e dona alla nostra vita il senso ultimo: Dio si lega all’umanità in nozze eterne, affinché noi che eravamo incapaci di amare, diventiamo amore. Cana è il luogo dove diaconato e matrimonio, ordine sacro e matrimonio si scoprono fonte di Grazia reciproca.
Giovedì 30 dicembre: saliamo al Monte delle Beatitudini. Il discorso della Montagna è la più grande rivoluzione della storia. Con la Grazia di Dio tutto cambia, la vita, la morte il dolore. Il Vescovo ci legge una lettera della mamma di una bambina affetta da una sconosciuta malattia che le ha fatto perdere progressivamente l’uso degli arti, della vista e dell’udito. Questa mamma si immagina che la sua bambina prima di nascere era un angelo al quale Dio ha dato l’incarico di vivere in quella situazione per insegnare agli uomini ciò che è essenziale, il senso della vita che non è nelle prestazioni o nelle cose che si possono avere o fare; per insegnare ad amare gratuitamente. E loro hanno avuto il dono di essere abitati da quell’angelo. Per Grazia il dolore diventa Amore.
Scendiamo a Taqba, il luogo dove la tradizione colloca il dialogo tra Gesù e Pietro e l’istituzione del primato di Pietro e il miracolo della moltiplicazione dei pani. Gesù guarda la folla e si commuove. Gli apostoli pensano di comperare il pane per la gente affamata, Gesù insegna la logica del dono totale di sé, dell’amore gratuito dell’amore eucaristico: “date voi stessi da mangiare, diventate voi cibo per loro, come ho fatto io”. Accoglie quello che era tutto il pasto di un bambino, 5 pani e due pesci perchè “se non ho dato tutto non ho dato niente”.
Arriviamo a Cafarnao, il quartier generale di Gesù. Qui ci mettiamo in ascolto del Vangelo che ci descrive la giornata tipo di Gesù. Una giornata fatta di preghiera pubblica e privata, di servizio e di relazioni, di intimità con il Padre e con i suoi e soprattutto di annuncio. Attraversiamo con un battello il Lago di Tiberiade. In mezzo al Lago la barca si ferma e il vescovo Francesco ci aiuta a meditare il brano evangelico della tempesta sedata. Tira molto vento, l’immedesimazione è grande. Qual è lo sbaglio di Pietro che affonda? Guarda la tempesta e non Gesù. Nelle prove della vita, non fissarti sulle acque che ti tirano giù ma tieni lo sguardo fissò su Gesù, fidati e affidati.
Venerdì 31 dicembre Messa alla Grotta della Annunciazione. “Il verbo si è fatto carne”. È stato possibile per l’incontro tra due sì : il sì di Dio all’umanità e il sì di Maria a Dio. È l’incontro tra due innamorati che si sono cercati per l’eternità. Nel sì di Maria sono racchiusi tutti i sì della storia: il sì del popolo di Mosè che riceve la legge; il sì di Maria a Cana, il sì di Gesù nel Getsemani.
A Gerico ci fermiamo davanti al sicomoro a leggere il brano di Zaccheo. Gerico è la nostra città soffocata dalla frenesia delle cose e dell’attività, ma segnata anche da presenze belle. Gesù passa oggi, incontra famiglie fedeli e sante, incerte e smarrite, anonime ed entusiaste. A tutte Gesù si rivolge con amore e dice:“Oggi devo fermarmi a casa tua”.
C’è un po’ di Zaccheo in ciascuno di noi. Anche in noi c’è la voglia di vedere Gesù. Ma poi… il lavoro, la folla, la cultura, gli impegni..! Non riusciamo a ritagliarci uno spazio di tempo per stare con Lui. Abbiamo anche noi i nostri “sicomori”; sono le opportunità che il Signore stesso ci offre. Come le utilizziamo?
Sabato 1 gennaio 2011. Iniziamo il nuovo anno nell’unico e ultimo villaggio interamente cristiano della Palestina: Taibe. Una parrocchia alla quale la nostra Diocesi è molto legata e che sostiene con aiuti anche economici. Incontriamo lo spumeggiante parroco che la guida da otto anni. Qui convivono pacificamente e spiritualmente unite tre comunità: la greco-ortodosssa, la melchita e la cattolica latina. Vi è una scuola frequentata da 400 ragazzi in gran parte cattolici ma con una significativa presenza di musulmani: la libertà religiosa, l’educazione alla pace sono una realtà. Recentemente sono stati costruiti una casa di riposo per anziani e un Centro medico gratuito aperto a tutti senza preclusione alcuna; vi è anche una Casa per i pellegrini e si sta pensando alla Prima Radio Cristiana della Terra Santa. L’amore e la fede in Gesù possono fare tutto e sono capaci di costruire ponti là dove gli uomini costruiscono muri. Saliamo sul pullman con ancora nelle orecchie e nel cuore l’appello del parroco:“Non lasciateci soli. La presenza dei cristiani in Terra Santa è responsabilità di tutti. La più grande solidarietà che potete dimostrarci è la preghiera. Pregate per noi e per la pace nella Terra di Gesù. Fate arrivare le lampade della pace in tutte le chiese del mondo, perché se tutti i cristiani e tutte le comunità pregheranno per la Pace, il Padre non potrà rifiutarcela”.
Nel pomeriggio saliamo al Monte degli Ulivi. Preghiamo come Gesù ci ha insegnato, con il Padre Nostro. Come non fidarsi di un Dio che si fa chiamare “abbà, papà”. Non è un titolo, ma il nome proprio di Dio. Tutta la preghiera è racchiusa tra due parole: “Abbà e Amen”: Papà mi fido di te mi affido a te, sia fatta la tua volontà. Così Maria, così Giuseppe, così Gesù che vero uomo, vive qui nel Getsemani una vera agonia e supera la tentazione della fuga con l’obbedienza di un vero figlio al Padre. Gesù ci conduce al luogo del “torchio delle olive”, cioè al Getsemani. Torchiare è un azione dolorosa, a volte tremenda, apparentemente distruttiva. Ma tutti noi sappiamo che è un’azione per qualcosa di prezioso: l’olio buono scende solo dalla torchiatura. Sofferenza e morte sono la torchiatura, ciò che ne esce non è il nulla; ne esce la parte migliore, preziosissima.
Domenica 2 gennaio. Siamo a Ein Karem, luogo della nascita di Giovanni Battista. Il Signore visita Zaccaria nel Tempio, il luogo della manifestazione della Gloria e visita Maria nella Casa di Nazareth il luogo dell’umiltà. Maria ed Elisabetta hanno incontrato il Signore e la loro vita è stata trasformata.
Due sono i segni di questa trasformazione: la capacità di benedire e la capacità di lodare.
Quando Maria va a trovare Elisabetta, la prima parola del loro dialogo è “Benedetta tu”.
La prima parola che Maria pronuncia è di lode: il Magnificat. Modello per i credenti: verso Dio, il primato della lode, verso i fratelli, il primato della benedizione.
Lunedì 3 gennaio. Celebriamo la via Crucis percorrendo la Via Dolorosa. Meditiamo i misteri della passione, morte e Risurrezione di Gesù percorrendo la strada che porta al Calvario e ci pare di provare gli stessi sentimenti provati allora da Gesù: il dolore della solitudine e dell’indifferenza della gente che guarda passare il condannato a morte. Passiamo in mezzo ai bazar, in un caleidoscopio di colori, odori, lingue e razze.
Incontriamo il Patriarca di Gerusalemme. È una iniezione di fiducia, di speranza: “Qui in Terra Santa dobbiamo prendere sul serio le parole di Gesù; vivere e amare come Lui ha vissuto e amato: Beati i perseguitati…, amate i vostri nemici… siate il sale della terra. I cristiani sono qui una minoranza e sono chiamati ad essere il sale, la luce, il lievito nella pasta. Questo ci permette di vivere con gioia in Terra Santa. Pregate con noi e per noi così tutta la Chiesa del mondo sarà presente nella terra di Gesù e ci darà la forza della testimonianza”.
Nel pomeriggio andiamo alla Chiesa di San Pietro in Gallicantu che ricorda il pianto di Pietro dopo aver rinnegato Gesù. Qui sotto la chiesa c’è una grotta utilizzata come prigione risalente ai tempi di Gesù. La tradizione l’ha sempre ricordata come la stessa in cui fu imprigionato il Signore prima del processo. Scendiamo e leggiamo il salmo 88 : “sono annoverato fra quelli che scendono nella fossa… Mi hai gettato nella fossa più profonda, negli abissi tenebrosi… Ma io Signore, a te grido aiuto”. La preghiera del salmista prende forma, ti entra dentro, senti l’angoscia del prigioniero nelle tue viscere.
Visitiamo il Cenacolo, la “sala grande e addobbata” posta al piano superiore della casa. La tradizione vuole che qui Gesù abbia passato il Giovedì Santo, istituendo durante l’Ultima Cena, l’Eucaristia e il Sacerdozio. Qui Gesù risorto apparve agli Apostoli e nacque la Chiesa nel giorno di Pentecoste. Qui Gesù ha posto la Lavanda dei piedi come segno distintivo del suo essere e del suo operare. Il vescovo Francesco ci aiuta a entrare nel Mistero Eucaristico al di là dei luoghi visitati. “Lo riconobbero allo spezzare del Pane”. È questo il gesto di riconoscimento di Gesù, il gesto caratteristico che rivela l’identità di Gesù. Una vita che si lascia spezzare per amore. Se non si è dato tutto non si è dato niente. “Fate questo in memoria di me”. I due grandi peccati contro l’Eucaristia sono le nostre divisioni, il non essere in comunione tra di noi e la mancanza di condivisione soprattutto con chi è nel bisogno.
Martedì 4 gennaio. È l’ultimo giorno. Prima di partire celebriamo la Messa nella chiesa francescana all’interno del Santo Sepolcro. Gira e rigira la storia passa di qui. La sosta davanti al sepolcro vuoto rigenera speranza. Gesù è morto, ma non è un cadavere né semplicemente un sopravissuto. È vivo perché è risorto.
Cesare Giorgetti
Nelle foto, il gruppo davanti alla basilica del Santo Sepolcro: i 52 pellegrini tra diaconi e candidati con rispettive consorti