Attenti alla nigeriana! Non stiamo parlando di una nuova influenza, ma poco ci manca. Su internet le allegorie mediche si sprecano. Ci sono “virus” informatici in grado di penetrare nei nostri sistemi operativi, sottrarre password, rubriche e informazioni di ogni sorta, persino attivare webcam per riprenderci. George Orwell (l’autore dell’apocalittico 1984) dovette fiondarsi ai microfoni della BBC per rassicurare gli inglesi che la predetta era del Grande Fratello era tutta una finzione. Oggi probabilmente sbiancherebbe pure lui.
Il modus operandi. La truffa on line detta nigeriana riguarda le caselle di posta elettronica. Si chiama così perché nata in Nigeria, ma oggi può avere qualsiasi passaporto. Inizialmente si viene contattati da un indirizzo di posta che, agli occhi meno esperti, può apparire affidabile. Il messaggio di una vincita o l’avviso di scadenza di un servizio, accompagnato dalla richiesta di dati quali codice fiscale, partita Iva, password o pin vari. Capita che ci sia chi, non avvezzo alle trame del web, apra i propri cassetti al ladro di identità, presi dall’ansia, dall’entusiasmo o dalla curiosità. Il truffatore copia i contatti, si impossessa della casella di posta o ne crea una simile.
La truffa al don. È capitato di recente a un noto parroco della Diocesi di Rimini di rispondere con le proprie coordinate ad un’e mail truffaldina. E il gioco era fatto. Tutte le persone presenti nella sua rubrica si sono viste recapitare un’email firmata a suo nome. Il testo recitava: “In questo momento non ho più il cellulare. Ho appena effettuato un viaggio in Costa D’Avorio… Mi ritrovo in una situazione difficile e non so cosa farei senza il tuo sostegno e aiuto. Avrei bisogno di un aiuto finanziario che ti rimborserò non appena sarò di ritorno dal mio viaggio. Sono nell’attesa urgente di una tua risposta”. Peccato che il don in questione non sia mai stato in Costa D’Avorio, e soprattutto abbia mai composto questa e-mail. Lo stesso indirizzo di posta risulta sbagliato. Ma l’errore è impercettibile (appena due lettere invertite fra loro) e deve avere confuso gran parte dei suoi contatti. Un amico del sacerdote, ricevuto il messaggio e nasata la sua stranezza, ha finto di abboccare all’amo rispondendo alla presunta richiesta d’aiuto e chiedendo indicazioni per versare i soldi. La risposta è stata tempestiva, farcita di dettagli melodrammatici.
“Sono stato vittima di una grave aggressione da parte di uomini armati… Mi hanno derubato di tutti i miei oggetti personali come la mia carta di credito, i miei soldi e il mio telefono… Mi ritrovo in una situazione delicata e inquietante in questo paese… Sono in questo momento in una clinica e necessito di cure intensive… Vorrei chiederti solo un prestito di 1.950 euro… Ti prego di farmi pervenire i soldi per MoneyGram alla posta”.
L’invito è chiaro. Il truffatore fornisce in coda l’indirizzo fisico dello sportello africano su cui versare il denaro, uno requisito utile. Con il codice di transazione, la sedicente vittima di aggressioni può così ritirare il dono pecuniario a nome del parroco, senza bisogno di mostrare alcun documento d’identità.
Del resto, basterebbe un po’ di intuito per non cadere nella trappola. Come può un paziente sottoposto a “cure intensive”, senza telefono, raggiungere prima un internet point, poi la sede della compagnia per il trasferimento di denaro? Per fortuna nessun amico del don è caduto nella rete del truffatore “nigeriano” (in questo caso della Costa d’Avorio).
Quelle case fantasma. Ma in tanti ci cascano, soprattutto in quel tipo di truffa che propone case in affitto per l’estate a Rimini o Riccione. La Polizia Postale di Rimini parla di “ecatombe estiva”. Turisti ingenui di varie parti d’Italia che restano ammaliati in rete da annunci di appartamenti meravigliosi in Riviera a prezzi stracciati. Ingannati da fotografie suggestive e dalla sicurezza che infonde il codice iban del proprietario (dietro il quale si cela una semplice carta prepagata). Procedono così in una trattativa che si svolge tutta via e-mail. Solo che, a transazione eseguita, il proprietario sparisce. “In alcuni casi – riferiscono dal comando della Polizia Postale di Rimini – alla richiesta di spiegazioni, il truffatore risponde persino ammettendo la colpa: devo pur mangiare”. La denuncia va sempre fatta, ma nessuno arriva al processo. “Le vittime sono scoraggiate dalla distanza. Se uno di Torino è stato truffato da un riccionese, all’idea di sostenere un processo a Rimini, che avrebbe solo finalità punitive nei confronti del truffatore, gli passa la voglia”. Infatti, se questi è uno squattrinato, difficilmente rimborserebbe la vittima.
Mirco Paganelli