La carità è la via maestra della Dottrina sociale della Chiesa e va compresa alla luce della Verità rappresentata dall’annuncio cristiano: è questo il pensiero-guida presente nell’Introduzione della nuova enciclica sul quale Papa Benedetto XVI ha scelto di costruire il titolo, “Caritas in Veritate”. L’attuale Enciclica si pone sulla scia della “Populorum Progressio” di Paolo VI, che viene definita «la Rerum Novarum dell’epoca contemporanea».
A presentare l’enciclica in Vaticano accanto al card. Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, al
card. Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum” e a mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo eletto di Trieste, finora segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, c’era il riminese prof. Stefano Zamagni. Questa sua presenza al tavolo dei relatori nella presentazione ufficiale dell’enciclica significa certamente che l’economista è stato uno dei più stretti collaboratori del Papa nell’elaborazione e forse nella stesura dell’enciclica stessa.
Un governo globale per il mondo di oggi
A lui è toccato il compito di affrontare alcuni aspetti specifici della lettera papale, come quello del “governo globale” nel mondo oggi.
“Occorre – ha detto Zamagni – affiancare all’attuale assemblea delle Nazioni Unite una seconda assemblea in cui siedano i rappresentanti delle varie espressioni della società civile transnazionale; dare vita al Consiglio di sicurezza socio-economica” dell’Onu“in appoggio all’attuale Consiglio di sicurezza militare; istituire una Organizzazione mondiale delle migrazioni e una Organizzazione mondiale per l’ambiente sul modello della Organizzazione mondiale per il commercio” e, infine, “intervenire sul FMI per affrontare il problema di una valuta globale e realizzare la riforma delle riserve monetarie globali, come è stato proposto dalla Conferenza Onu” del 23 giugno scorso. Sono le indicazioni dell’economista, per attuare quella “governance globale, ma di tipo sussidiario e poliarchico” auspicata dall’enciclica. Secondo Zamagni, “l’invito a superare l’ormai obsoleta dicotomia tra sfera dell’economico e sfera del sociale” affermando “che si può fare impresa anche se si perseguono fini di utilità sociale e si è mossi all’azione da motivazioni di tipo pro-social” costituisce uno dei punti “di maggiore originalità e rilevanza pratica” del documento pontificio.
Per un’economia capace di futuro
Prendendo posizione “a favore di quella concezione del mercato” secondo cui “si può vivere l’esperienza della socialità umana all’interno di una normale vita economica e non già al di fuori di essa o a lato di essa”, la “Caritas in veritate”, prosegue Zamagni, “ricorda che una buona società è frutto certamente del mercato e della libertà, ma ci sono esigenze, riconducibili al principio di fraternità, che non possono essere eluse”. Per l’economista, infatti, senza questo principio la società non sarà “capace di futuro”. “L’accoglimento della prospettiva della gratuità entro l’agire economico” sottolinea, comporta un nuovo modo “di guardare alla relazione tra crescita economica e programmi di welfare” secondo il quale la spesa per il welfare è “investimento sociale” perché crea sviluppo economico. Inoltre, porre in primo piano nella vita economica il principio di gratuità “ha a che vedere con la diffusione della cultura e della prassi della reciprocità” che “insieme alla democrazia è valore fondativo di una società”. Richiamando i principali fattori strutturali della crisi, Zamagni definisce “quanto mai opportuna l’insistenza” dell’enciclica “sulla necessità di attuare una governance globale, ma di tipo sussidiario e poliarchico”. Ciò implica, conclude, “il rifiuto di dare vita ad una sorta di superstato” e, al tempo stesso “l’urgenza di completare e aggiornare l’opera svolta nel 1944 a Bretton Woods”.
Bene comune centro dell’attività economica
“L’economia di mercato è più ampia del mercato capitalistico. La prima infatti è nata secoli prima del capitalismo, il quale si basa sul mercato per affermare il principio della massimizzazione del profitto, mentre l’economia di mercato punta alla più ampia circolazione dei beni” ha detto Stefano Zamagni, rispondendo alla domanda di un giornalista se la Chiesa si dichiarasse anticapitalistica in questo documento. “L’enciclica in realtà non è ‘contro’ il capitalismo, ma lo supera affermando che il principio della massimizzazione del profitto può essere superato da quello della società fraterna, che pone la ricerca del ‘bene comune’ come centro di riferimento dell’attività economica”. Secondo Zamagni, “da questo punto di vista, occorre anche superare la concezione del ‘sociale’ come compensazione dell’economico, cioè di quegli interventi che arrivano a tappare i buchi lasciati dal capitalismo. Il sociale – ha spiegato – nella visione del Papa deve entrare a pieno titolo nella dimensione economica e non rimanerne ai lati”. Rispondendo a domande sulla crisi economica in corso, ha poi affermato che “essa ha rivelato che l’ethos dell’efficienza ad ogni costo ha mostrato tutti i suoi limiti”.
Consiglio di sicurezza per l’economia
“L’enciclica non nega il valore dell’efficienza nell’attività economica. Tutti dobbiamo essere efficienti. Ma il Papa ci dice che essa va perseguita per il fine superiore che consiste nella ricerca del massimo bene comune” – ha ribadito Zamagni agli oltre 150 giornalisti di ogni parte del mondo intervenuti alla presentazione della nuova enciclica. “Ad esempio – ha proseguito – il concetto di ‘impresa come bene’ che si può vendere, comprare, chiudere, spostare a piacimento non è accettabile nella visione della dottrina sociale della Chiesa. L’impresa stessa infatti non è uno ‘strumento’ ma un fine, che deve rispondere a criteri di umanizzazione della vita sociale, offrendo lavoro e ricchezza per tutti e non solo per alcuni”. Zamagni ha poi detto, a proposito del debito internazionale che “oggi il capitalismo è divenuto obsoleto e che il Papa indica la necessità di cambiare le strutture che hanno reso possibile accumulare debiti pubblici enormi, che schiacciano soprattutto i paesi poveri”. “Da questo punto di vista – ha spiegato – così come esiste un Consiglio di sicurezza all’Onu per gli affari militari, ce ne vorrebbe uno per gli affari economici. Ci fosse stato, non avremmo avuto gli eccessi della crisi finanziaria di cui stiamo pagando le conseguenze su scala globale”.