Lo ammetto. Anche io da ragazzo qualche volta ho suonato i campanelli per poi scappare, e anche se in ampio ritardo ci terrei a scusarmi con chi è stato tediato da questo mio potente gesto di trasgressione e ribellione giovanile.
Aspetto fondamentale dello scherzo era, appunto, lo scappare una volta pigiato il campanello, mica si restava lì ad aspettare che il proprietario del citofono scendesse a intozzarci.
E poi la cosa doveva rimanere tra i compagni di zingarata e pochi amici fidati.
Questo era l’Abc, che pensavo fosse ovvio.
E invece nell’epoca dell’esibizionismo social non pare proprio così.
Basti vedere quei due giovincelli milanesi che la scorsa estate hanno simulato lo svenimento di uno di loro per scroccare un passaggio al 118 da Coriano a Riccione e poi hanno postato con orgoglio il video della loro bravata sui social. L’unica cosa ovvia è stata la denuncia.
Sconcertava l’assoluta mancanza di consapevolezza di quanto fatto per un pugno di like: l’illiceità dell’atto sembrava del tutto ignota ai protagonisti.
Almeno servirà di lezione a chi volesse fare robe del genere, fiduciosamente pensavo. E invece solo pochi giorni fa a Rimini è successo che dei ragazzi hanno fatto esplodere un cassonetto per il vetro postando, sempre con orgoglio, il loro vandalismo sui social. Salvo rimuovere il profilo quando qualcuno gli ha evidentemente fatto notare che si erano denunciati da soli.
Che fare? Aspettare ancora che i ragazzi ci arrivino da soli? Provare a spiegargli che postare le proprie malefatte sui social è autolesionistico, col rischio di far passare che le malefatte si possono fare basta non postarle? Lasciare che le postino ancora, così almeno le forze dell’ordine faticano di meno?
Non saprei, aiutatemi voi. Mentre ci pensate vado un attimo a rispondere, hanno citofonato