Aumento consistente delle rette o, nella peggiore delle ipotesi, fine attività. Le evidenti difficoltà economiche per le scuole paritarie non sembrano offrire troppe vie di scampo. La Costituzione stabilisce la libertà di scelta educativa, a favore, ad esempio, di una scuola cattolica. La scelta però è solo teorica, e la parità è messa sempre più a rischio. Non c’è infatti alcuna parità di condizioni e di costi per le famiglie, anche grazie ai finanziamenti pubblici che servirebbero proprio a tutelare la scelta.
Un esempio. Le iscrizioni per l’anno scolastico 2013-14 sono scattate, e le scuole devono comunicare ora le tariffe alle famiglie: ma non conoscono l’entità di quei finanziamenti, né quando arriveranno. Di conseguenza gli istituti paritari spesso devono mettere mano non solo al portafogli per restare in piedi ma anche a tanta speranza. Una situazione difficile, che le novità in tema di Imu aggravano ulteriormente. Il decreto del Ministero dell’Economia ha individuato il criterio delle “attività non commerciali” per l’esenzione dal pagamento Imu. Il dipartimento delle Finanze in pratica ha spiegato: l’Imu le scuole paritarie non la pagano solo se non chiedono nulla agli utenti o solo tariffe simboliche. Il pagamento deve essere fatto anche, ad esempio, se una parrocchia è proprietaria dell’immobile, ma la gestione della scuola è totalmente di una cooperativa. Criteri controversi, che, in attesa di chiarimenti, hanno fatto scegliere a molte scuole di non versare a dicembre la seconda rata Imu. Lo hanno fatto ad esempio le scuole riminesi aderenti alla Fism, la Federazione scuole materne cattoliche di ispirazione cristiana. Spiega il presidente provinciale Laura Colonna: “Le nostre scuole non si rifiutano di pagare le tasse, atto assolutamente doveroso. Ma in un periodo critico come questo, dove diminuiscono i contributi da parte dello Stato, così come quelli dei comuni in grande difficoltà coi loro bilanci, qualunque tassa aggiuntiva mette in ginocchio l’organizzazione e la gestione delle scuole. L’unica leva su cui agire, oltre a un’eventuale riorganizzazione del servizio, è chiedere una retta più alta alle famiglie, in questo periodo già in grande difficoltà”.
Di incremento Imu pari quasi al 50% rispetto alla vecchia Ici parlano alle scuole Karis, dove, spiega il direttore Carlo Gasperini: “L’intenzione è comunque di mantenere invariate le rette: non vogliamo diventare scuola di elites. La retta si aggira sui 2300 euro annui. Abbiamo pagato la prima rata Imu a maggio, non quella di dicembre. Si spera in interventi legislativi”. Di difficoltà serie, tanto da non dare per scontata la sopravvivenza, parla la direttrice dell’istituto Maria Ausiliatrice di via Tripoli, suor Francesca Fontanili: “Neppure noi abbiamo pagato la seconda rata Imu, come le altre scuole salesiane in giro per l’Italia. Le difficoltà sono legate anche al fatto che i contributi ministeriali non arrivano in maniera costante, e spesso interviene a sopperire il nostro centro ispettoriale. Il nostro pensiero va alle famiglie: con l’Imu, per sopravvivere dovremmo alzare le tariffe, ma in quelle dove c’è un solo genitore che lavora e ci sono due o tre figli, la scelta della scuola paritaria, senza i contributi pubblici, è sempre più difficile. Pensiamo poi anche ai dipendenti. Oggi da noi prestano servizio 15 insegnanti, di cui solo due sono religiose”.
La dirigente dell’istituto Maestre Pie (nella foto), suor Maria Rossetti, è lapidaria: “Non abbiamo intenzione di chiedere ulteriori sacrifici alle famiglie”. Oltre alla tutela della scelta educativa, c’è il nodo dell’insufficienza dei posti nel pubblico. 37 le materne aderenti alla Fism in provincia di Rimini, 3 i nidi. Le tariffe sono in linea con quelle comunali. Alle criticità strutturali, per le scuole cattoliche si aggiungono poi i mancati o ritardati pagamenti da parte delle famiglie in difficoltà. Aggiunge la Colonna: “Essendo le nostre scuole molto incentrate sulla relazione personale con le famiglie, si cerca di instaurare un dialogo per andare incontro alle vere necessità della famiglia, determinate dalla perdita del lavoro o dalla cassa integrazione. Fattori questi che intervengono molto più che negli anni passati. Molte famiglie, ad esempio, iniziano a portare a casa il bambino a pranzo per non gravare ulteriormente la retta anche di quel costo”.
Serena Saporito