Spesso e volentieri il corso di studi fatto non corrisponde alle mansioni lavorative. L’indagine di Eduscopio.it
Scegliere una scuola per il lavoro e l’università
Dal 21 gennaio 2025 al 10 febbraio 2025. È l’arco temporale utile per iscriversi alla scuola pubblica, di qualsiasi ordine e grado. A parte la primaria, l’iscrizione alla superiore (secondaria di secondo grado) già richiede un minimo di idee chiare sull’indirizzo da prendere. Le opzioni, che non sono irrevocabili perché poi si può sempre cambiare, sono due: si può sciegliere tra un indirizzo orientato, alla fine dei cinque anni di studio, verso un inserimento lavorativo, oppure per il proseguimento universitario.
Alcuni indirizzi propendono per una direzione, altri per altra. Ma senza esclusività. Perché se è vero che la quasi totalità delle ragazze e dei ragazzi che frequentano un liceo poi scelgono l’università, questo avviene anche per il 45% di coloro che conseguono un diploma tecnico e il 18% dei diplomati degli istituti professionali.
Dalla scuola al lavoro Chi non prosegue gli studi generalmente opta per l’ingresso nel mondo del lavoro. Così, in uscita dalla scuola secondaria di I grado, molti studenti scelgono percorsi di studio professionalizzanti come quelli offerti dagli istituti tecnici e professionali proprio per avere maggiori chances di trovare rapidamente un impiego dopo il conseguimento della maturità. Per questa ragione la missione principale degli istituti tecnici e professionali è quella di fornire competenze adeguate e immediatamente spendibili in termini lavorativi, curando in particolare la delicata fase di avvicinamento e ingresso al mondo del lavoro (transizione scuola-lavoro). Alcune scuole assolvono molto bene a questa missione, altre sono meno efficaci.
Anche per questa ragione i diplomati in uscita dai diversi percorsi di studio hanno probabilità diversa di trovare occupazione e di farlo in tempi brevi.
Eduscopio.it, curato dalla Fondazione Agnelli e da cui prendiamo i dati sotto riportati, è uno strumento che si propone di offrire a studenti e famiglie informazioni semplici e comparabili su come gli istituti tecnici e professionali – statali e paritari – preparano i propri studenti per il mondo del lavoro. L’idea di fondo è quella di analizzare gli esiti occupazionali dei diplomati e la coerenza tra studi fatti e lavoro trovato per inferirne delle informazioni comparabili sulla qualità della formazione ricevuta e sull’efficacia delle attività di orientamento al lavoro e di promozione dell’incontro offerta-domanda del lavoro messe in campo dalle scuole. Per l’analisi abbiamo considerato tutti i diplomati dei corsi diurni degli indirizzi tecnici e professionali delle scuole statali e paritarie negli anni scolastici del triennio 2018/2019, 2019/2020 e 2020/2021, presenti in un raggio di 30 chilometri da Rimini. Gli esiti sono quelli illustrati in tabella, ordinati per indirizzo di studio e per indice di occupazione (% di diplomati che hanno lavorato almeno sei mesi nei due anni successivi al conseguimento del diploma) decrescente.
Scorrendo la tabella chiamano l’attenzione due aspetti. Il primo. Dopo due anni, in tanti indirizzi di studio e relative scuole, poco più della metà dei diplomati hanno trovato un lavoro (ricordiamo che secondo l’indagine Excelsior sulla domanda di lavoro delle imprese riminesi la metà delle figure cercate, nel 2024, sono di difficile reperimento). Il secondo. Ancora più preoccupante è la scarsa coerenza, in chi un lavoro l’ha trovato, tra studi fatti e lavoro svolto. In particolare nell’indirizzo tecnico-economico, ma anche in istituti professionali. Entrambi sono indicatori di un disallineamento tra formazione e richieste di lavoro su cui bisognerebbe intervenire, non fosse altro perché configura uno spreco di risorse economiche (la formazione ha un costo) e umane (la frustrazione di non vedere riconosciuta la propria formazione). Stupefacente, poi, per il suo scarso valore segnaletico, la considerazione che i datori di lavoro hanno per il voto di maturità, il quale on risulta quasi esser associato con le opportunità lavorative, dal momento che 10 punti in più all’esame di maturità producono addirittura ad un -0.5% di probabilità di esser occupato.
Dalla scuola all’università L’apprendimento è un processo cumulativo: quanto riusciamo ad apprendere oggi dipende in larga parte da quanto abbiamo appreso in passato. Si possono costruire conoscenze più estese e competenze più robuste solo a partire da basi solide. Non a caso, il reale valore dell’istruzione ricevuta a scuola si manifesta proprio quando ci si trova davanti alla complessità di un esame universitario o di una mansione da svolgere sul lavoro. Qui entra in gioco la valutazione degli esiti successivi della formazione secondaria – i risultati universitari degli studenti – per trarne un’indicazione di qualità sull’offerta formativa delle scuole da cui essi provengono. I risultati universitari (esami, voti, crediti) riflettono e danno informazioni anche sulla qualità delle “basi” formative ricevute. Basi formative che sono riassunte in tre indicatori: FGA, un indice che mette insieme la media dei voti e i crediti ottenuti, normalizzati in una scala da 0 a 100; la media dei voti e i crediti formativi (CFU) ottenuti il primo anno di università (sufficiente perché la letteratura scientifica suggerisce che la performance al primo anno è fortemente predittiva degli esiti universitari nel medio-lungo periodo).
Tutto ciò considerato, relativamente alle scuole del territorio gli indicatori mostrano chiaramente che gli studenti provenienti dagli indirizzi “classico” e “scientifico” ottengono, nel primo anno di università, esiti migliori di tutto il resto, sia come media dei voti che come crediti. Questo non significa che gli altri indirizzi non preparino bene, perché conta la scuola ma anche il contesto di provenienza degli alunni che sta intorno, e a volte le distanze non sono grandi, ma ciò non toglie che le differenze esistono.