Presente in numerose riviste, diverse pubblicazioni all’attivo, reading e corsi nelle scuole, Isabella Leardini accompagna la sua creatività di poetessa con la direzione di Parco Poesia, il festival che anche quest’anno ha portato tanti versi giovani nel cuore di Rimini. Ha fatto strada quella ragazza che nell’estate del 1996 si è innamorata della poesia, un amore consapevole al quale dire il sì più deciso e totale.
Come ti sei avvicinata alla poesia?
“Non mi sono avvicinata, mi è caduto in letteralmente in testa il libro I fiori del male di Baudelaire dalla libreria dei miei genitori mentre cercavo di prenderne un altro (fortunatamente non è così pesante!). L’ho cominciato a leggere ed ho ripreso a scrivere a 18 anni. La poesia in realtà è sempre stata per me come una lingua madre. Senza rendermene conto, a 6 anni riuscivo a leggere poesia, quella lingua che istintivamente capivo, e non riuscivo a imparare a leggere e a scrivere invece in prosa. Per cui era più facile fare le rime piuttosto che scrivere in ortografia corretta una parola e sentire le doppie.
Verso la fine dell’adolescenza, questo «sentimento» innato si è manifestato con una scrittura più consapevole. Iniziando a leggere i pochi poeti amati, che però mi corrispondevano pienamente, la poesia è diventata centrale nella mia vita. Nel momento in cui ho cominciato a scrivere versi e ho preso coscienza del fatto che quello che stavo scrivendo ambiva ad avere il nome di «poesia», per me non ci sono state altre possibilità. Avrei dovuto scrivere nel modo più serio e fino in fondo. È la poesia che si è avvicinata a me, e non il contrario”.
Parco Poesia: com’è nato e perché?
“Parco Poesia è nato quando ero io per prima una poetessa giovane, avevo 23 anni, l’età dei ragazzi che leggono oggi al festival. Avevo pubblicato le prime poesie sull’antologia I cercatori d’oro. Erano gli inizi del 2000 e cominciavo a fare tante letture in giro per l’Italia con autori giovani che erano miei coetanei o poco più grandi. Lavorando e collaborando col Centro di poesia contemporanea dell’università di Bologna, incontravo tanti maestri: Franco Loi, Milo de Angelis, il direttore del centro dell’epoca Davide Rondoni… Condividevamo il nostro tempo tra giovani poeti, lavorando per creare incontri a cui partecipavano grandi maestri, autori anche internazionali. Lo stesso Mario Luzi teneva incontri per il Centro. Li ascoltavamo, lavoravamo per organizzare le loro conferenze, andavamo con loro a cena… Da questa convivialità era nata in me l’idea di creare un luogo dove tanti giovani poeti potessero incontrarsi e incontrare maestri. Volevo creare un luogo del genere, una specie di grande festa. Così è nato il primo Parco Poesia che ha riunito la generazione di poeti nati negli anni Settanta e tanti maestri che anche oggi seguono il festival come Milo De Angelis, Umberto Piersanti e Davide Rondoni che non si sono persi un’edizione.”
Quale soddisfazione regala un festival del genere?
“I ragazzi più giovani per i quali Parco Poesia combatte. Questa scelta comporta anche alcune accuse. C’è chi sostiene: «non è giusto che ci sia un limite di età per partecipare alla selezione autori, non è giusto che ci siano tutti giovani e che voi facciate leggere ragazzi ancora inediti». L’entusiasmo dei ragazzi che possono leggere per la prima volta e che non avrebbero altrimenti una possibilità di ascolto del genere, dà l’energia per difendere fortemente questa scelta: Parco Poesia vuole far leggere anche i più giovani”.
Perché è così importante avvicinare i giovani alla poesia?
“La poesia permette di mettere a fuoco le cose, è una specie di corsia preferenziale per la verità, un’accensione della parola che subito da più senso a quello che vediamo ogni giorno e anche a quello che non vogliamo vedere. Un modo per fissare la verità, anche se dolorosa. Questo è fondamentale, soprattutto per i ragazzi, per due motivi: perché la nostra è una società veloce, fatta di parola svuotata, di impoverimento della lingua. La ragione più vera che ho trovato stando con i ragazzi è che la giovinezza è fatta per scoprire la vita. Quello che si conosce di sé, nell’adolescenza rimarrà formativo per tutta la vita: dal primo amore ai primi veri dolori. In quell’età in cui prende forma quello che saremo, scoprire il tutto con un’attesa alta delle cose e avere l’esigenza di dirle in un modo che sia solo nostro, credo appartenga a tutti i ragazzi. Non tutti diventeranno poeti ma ognuno di loro ha il diritto di provare a tendere questa grandezza dalle proprie parole perché è un modo per dare valore anche a ciò che vivono”.
Come ti poni verso i ragazzi delle scuole superiori di Rimini che intraprendono i laboratori di poesia che organizzi?
“Da una parte guardare loro è come guardare una cosa bella. Un po’ come quando una mamma guarda suo figlio con la percezione che sia suo. Ma ho piena coscienza che non sono miei, quindi li osservo sempre con meraviglia. Posso dar loro uno strumento che funziona al meglio se riescono a dire una cosa in un modo nuovo e che appartiene solamente a loro. L’ultima cosa che vorrei è fare un laboratorio dal quale escono cinquanta Isabella Leardini. Spero che emergano sì dei talenti, come sta già accadendo. Non aspiro che tutti diventino poeti ma che, in ogni caso, molti portino con loro la consapevolezza della parola e il piacere di leggere poesia.”
Perché leggere poesia oggi?
“Per rimanere in contatto con una parola che cerca l’autenticità. Dice Mariel Moore: «la poesia anche a me non piace, eppure dentro di sé lascia uno spazio per l’autentico». Ed è questo l’oro della poesia, la capacità che essa ha di dire qualcosa in più, di creare legami nuovi tra le cose e anche di restare, di rimanere oltre la parola che si consuma.”
Si vive solo di poesia?
“No, non si vive proprio di poesia. Si vive di lavoro concreto, magari anche legato alla poesia, ma pratico. Nessuno vive dei suoi versi. Io ho fatto per molti anni la giornalista e anzi, la poesia mi serviva a fare i titoli perché lo scrivere versi aiuta a scegliere le parole. Anche adesso che lavoro organizzando i laboratori e altri eventi, non vivo di poesia ma applico comunque il mio lavoro alla letteratura. Non bisogna nemmeno vivere per la poesia, bisogna solamente vivere e lasciare che la poesia entri nella nostra vita”.
Marta Antonini